martedì 31 dicembre 2013

#2014

Botti "scaccia maligni", lenticchie portafortuna, il classico "trenino". Messaggi di auguri, post su facebook e hashtag su twitter: è tutto pronto. Eppure per così poco, per un giorno. E' capodanno e quasi nessuno lo sente, distrutto dalla crisi, da una società che ha quasi smesso di crederci. Quasi fossero "da protocollo" il cenone, il conto alla rovescia, gli auguri (ipocriti) di felice anno nuovo. Come fosse possibile cambiare le sorti di un intero anno nelle poche ore restanti, come fosse possibile segnare il corso di dodici mesi dai primi istanti "divorando" lenticchie o sparando fuochi d'artificio. Fosse tutto così semplice! Il sorriso dura in media mezzora, poi subentra (in genere) il sonno. E durante il giorno di capodanno si passa più tempo a fare "zapping" con il telecomando che a pianificare l'anno nuovo. I soliti discorsi, il solito "discorso agli italiani". Quello rassicurante e riguardante un anno difficile ma sempre "in miglioramento". Non bisogna perdere la calma, noi italiani l'abbiamo capito bene: così il discorso che passa in TV non lo guarda più nessuno. "Bisogna guardare avanti!", dicono. Avanti, per ora, non c'è nulla. Domani sarà uguale ad oggi: cambia un numero, un giorno. Se qualcosa si è persa per strada, nessuno la riavrà mai indietro perché "è cambiato l'anno". Rimane solo la speranza, mista a molta, troppa, superstizione. Il pensiero va allora a Nelson Mandela, alle vittime dei naufragi, va alla politica che c'era e che non c'è più. Va a tutti coloro che non hanno la "fortuna" di festeggiare il capodanno. Noi, invece, siamo fortunati: abbiamo la grandissima opportunità di sperare ancora per 365 giorni che qualcosa cambi in meglio per ritrovarci tra un anno al punto di partenza. Ma niente cambia, tutto rimane uguale, e se cambia peggiora. Nessuno ferma una vettura che procede ad alta velocità, senza conducente e con i freni rotti. Per di' più se in discesa e dritta verso un imminente schianto. Forse è davvero questo il senso dei botti e delle lenticchie: festeggiare la possibilità di poter vivere ancora per sperare in un cambiamento, in qualcosa di impossibile. Sperare che il mondo cambi verso, sperare in un anno "migliore". E se ci pensate bene, è davvero una fortuna avere la possibilità di sperare in tutto ciò.

venerdì 27 dicembre 2013

Caro amico ti scrivo...

Sosta "natalizia" per la Serie A: calciatori e allenatori in vacanza, dirigenti al lavoro in vista del mercato. Il 2013 volge al termine. Alle sue spalle gol, occasioni, rammarico, tanto. Speranze, successi, sogni. Il tifo, quello vero, "gira" l'anno, non resta indietro. E così sono i numeri a "parlare", i classici "bilanci di fine anno". Un anno, quello del Calcio Catania, da "Bella" e "Bestia" allo stesso tempo. Dal record di punti in una stagione al record, negativo, di sconfitte. Tutto in dodici mesi. "Caro amico ti scrivo, così mi distraggo un po'.." direbbe un "Dalliano" presidente Pulvirenti, forse fin troppo pensieroro ultimamente. Lui che ha visto rovinosamente crollare l'immagine del suo "giocattolo perfetto", tanto perfetto da essere considerato il modello stesso di "società perfetta". Ma si sa, quando la posta in gioco diventa più alta è difficile per tutti ripetersi. Pensieroso anche il mister, Gigi De Canio, che ha chiesto al nuovo anno dei rinforzi per la sua rosa. Già al lavoro, invece, Pablo Cosentino alla ricerca dei "regali" al mister e ai tifosi. In vacanza i giocatori, ognuno dalle proprie famiglie (sempre che non sia arrivato un altro giocatore a "portartela via"..), a riposare (chi più, chi meno) dalle fatiche di un inizio di stagione "turbolento". Uno sguardo al 2014 passando per il calciomercato, quindi. Passaggio, "forzato", per una salvezza insperata. E si perché, se il 2013 iniziava tra i sorrisi e le certezze dei 25 punti in classifica, il nuovo anno avrà come colonna sonora la famosa sigla di "Mission Impossible". Il presidente Pulvirenti, negli inediti panni di Tom Cruise, proverà quindi a salvare la causa del suo, nostro, Catania con il supporto, incessante, di chi ci crede. Chi, forse più dei giocatori, dona l'anima per raggiungere una vittoria, quasi volesse scendere in campo a segnare. Il tifoso: lui che è mister, presidente, dirigente, uomo-mercato, opinionista e attaccante allo stesso tempo. Lui che non perde mai la speranza, neanche a 10 punti, ultimo in classifica. "Toglietemi tutto ma non il mio...Catania!", insomma. Così, mentre i tifosi "eleggono" il Papu Gomez "rossazzurro dell'anno", altri rimpiangono chi è migrato verso altri lidi: Giovanni Marchese e Ciccio Lodi, tra questi. I nostalgici invece richiamano a gran voce mister Maran, alcuni, rassegnati, guardano al nuovo anno come ad un nuovo ciclo che riparte da zero, lasciando acceso quel lumicino di speranza che chi ama il calcio, anche sotto di tre gol a due minuti dalla fine, tiene vivo aspettando nella rimonta finale. Quella speranza che un tifoso non getta mai via, neanche vedendo la sua squadra passare da "piccolo Barcellona" a "squadra che non riesce a vincere", ultima, a 10 punti, perché sa che al Catania niente è impossibile. E' la storia che lo insegna. E' la storia di chi è risorto dalle ceneri, "abbattuto" più volte, ma che adesso è qui a giocarsela perché "NOI siamo il Calcio Catania". Adesso, forse, anche più forti di prima.


lunedì 16 dicembre 2013

C'era una volta il calcio italiano...Cronache di una lega falcidiata da scandali e sconfitte

"C'era una volta"...la Federazione Italiana de Football. Era il 16 Marzo del 1898. Era la prima "lega" italiana del gioco del pallone. Sempre undici giocatori, sempre i goal. Sempre il pubblico, i campi, l'area di rigore, il calcio d'inizio, l'arbitro. Venne organizzato il primo "campionato" vinto a Torino dal Genoa Cricket and Football Club. Tutto in una sola giornata, tutto l'8 Maggio 1898. L'Italia c'era, giocava a "football". Erano gli anni della svolta, del secolo delle speranze, del progresso, dell'ottimismo: si viveva bene e c'era spazio anche per lo sport. E poi la guerra, la prima. Poi la seconda ma prima il campionato mondiale di calcio: la Coppa Rimet. Vittoria, quella della Coppa del Mondo, alla seconda edizione: come al solito, tra le polemiche. Era il 1934, si giocava in Italia, Paese ospitante. Primo campionato mondiale con girone di qualificazione. L'Italia vinse il primo mondiale della sua storia, tra le prime polemiche arbitrali della sua storia. Erano gli anni del fascismo, del Benito Mussolini nelle vesti di un inedito Luciano Moggi. L'Italia vinse ancora, stavolta in Francia, nel 1938, battendo l'Ungheria. Prima Nazione a vincere consecutivamente due Coppe Rimet, la prima a vincerla in Terra straniera. Così la guerra, gli scandali, le stragi, i disastri, l'orrore. Il calcio va avanti, i calciatori "servono più sui prati che all'esercito", diceva qualcuno. E mentre gli Americani si preparavano in gran segreto all'operazione Husky, il Grande Torino vinceva il primo dei suoi cinque scudetti consecutivi. Ma la guerra insiste, e il calcio si deve fermare. L'Italia è sulle ginocchia, a terra, povera tra le macerie. Dopo la guerra, torna il calcio. L'Italia si rialza, il Grande Torino torna a vincere. Era quel Torino di Valentino Mazzola, padre di Sandro. Era quella squadra che, dall'edizione 1945-1946 all'edizione 1948-1949, vinse quattro scudetti. Quella squadra che, nello stesso 1949, morì nella strage di Superga nel viaggio di ritorno dall'amichevole in Portogallo contro il Benfica. L'Italia dello sport è a pezzi, il Torino vinse, doverosamente, quello scudetto a tavolino, la Nazionale di calcio partecipò ugualmente alla Coppa Rimet del 1950 in Brasile.
 L'Italia vince anche in europa: lo juventino Omar Sivori porta, per la prima volta, il Pallone d'oro in Italia nel 1961. Gli anni 60', infatti, segnarono il dominio europeo delle italiane: il Milan di Cesare Maldini e José Altafini fu la prima italiana ad alzare la Coppa Campioni battendo 2-1 al vecchio Wembley i campioni in carica del Benfica il 22 Maggio 1963, piccola rivincita dell'Italia contro il destino. A suggelare il dominio italiano in Europa ci pensò l'Inter che vinse l'edizione successiva contro il Real Madrid per 3-1. Ancora contro il Benfica, ancora dell'Inter l'edizione 1964-1965: era la "Grande Inter" di Angelo Moratti e del "Mago" Helenio Herrera. Milano divenne, così, Capitale del calcio europeo e mondiale. L'Italia era sulla vetta del mondo del calcio. Così, dopo la sconfitta in finale dell'Inter contro gli scozzesi del Celtic nel 1967, la Nazionale italiana di calcio vinse nella ripetizione della finale (all'andata finì 1-1 e non erano stati inventati i calci di rigore) il suo primo Campionato Europeo di calcio, in casa, ai danni della Jugoslavia nel 1968. L'Italia era di un altro pianeta, quasi volesse andare sulla luna con gli americani. Di quella squadra protagonista indiscusso fu Gianni Rivera, primo Pallone d'oro italiano nel 1969 dopo aver portato il Milan alla vittoria della Coppa Campioni battendo l'Ajax per 4-1 nello stesso anno. Il 1970 offre all'Italia una chiara visuale sullo stesso decennio calcistico: la Nazionale perde l'edizione messicana del mondiale per mano del Brasile di Pelé. L'Ajax del fenomeno Johan Cruijff sconfigge nel 72 e nel 73 rispettivamente Inter e Juve grazie al suo "calcio totale". L'Italia del calcio è in ginocchio, non riesce più a vincere.


Ci pensò il "Trap": la Juve di Bettega, Zoff e Tardelli vinse la Coppa UEFA nel 77. Erano gli anni del cambiamento, delle nuove tendenze, delle rivoluzioni calcistiche: si passò da un calcio "fisico" ad un calcio "tattico" dove la figura del "mister" incideva davvero sul gioco, imprimendo alla squadra la propria mentalità. Erano gli anni del pop rock e della disco music, e l'Italia ballava. E si destreggiava pure bene. L'Italia raggiunse per la terza volta la vetta del mondo nel 1982: Spagna, Pablito Rossi, incubo brasiliano. In Brasile ancora lo ricordano bene, ci scherzano su (come dimostra questo spot VISA). Paolo Rossi, che vinse quell'anno il Pallone d'Oro, era solo uno degli interpreti di quella squadra che quell'11 Luglio battè la Germania dell'Ovest per 3-1. 
                                                                                    (Il gol di Tardelli del 2-0)

Il calcio italiano diventa quindi il più importante d'Europa, meta preferita dei più grandi calciatori del mondo. La Juve aveva in squadra uno di essi. Francese, fenomeno puro: Michel Platini, arrivato nell'82' a Torino e vincitore di tre Pallone d'oro consecutivi. Al Napoli, invece, nel 1984 arrivò dal Barcellona un giocatore. Basti pensare un trasferimento del genere al tempo d'oggi per realizzare quanto il calcio italiano fosse importante. Quel ragazzo dai capelli ricci si chiamava Diego, per gli amici El Diego, El Pibe de Oro, La mano de Dios. Per molti il calciatore più forte di tutti i tempi. Poi il 1985, altra tragedia. L'Italia è ancora in ginocchio. Stade du Heysel, finale di Coppa Campioni, Liverpool-Juventus. La partita finì 0-1, la Juve vinse, l'Italia pianse. Gli hooligans inglesi (proprio loro), memori della finale dell'anno prima contro la Roma (e degli scontri della stessa), tentatorono una vera e propria invasione contro la curva dei tifosi italiani. La polizia belga, incapace di gestire la situazione, spinse "caricando" i tifosi verso il settore dei tifosi dei Reds: la struttura non sopportò il peso, morirono 39 persone. La partita, tra le polemiche che si susseguono fino al giorno d'oggi, continuò: fu la prima "macchia" del nostro calcio. Fu l'occasione, per l'Italia del calcio, di "resettare" il sistema. Nel 1986, il "già proprietario di tutto" Silvio Berlusconi diventa presidente del Milan: l'Italia del calcio rinasce, ancora una volta. E' il Milan degli olandesi, dei fenomeni Gullit (Pallone d'Oro nel 1987), Rijkaard e Van Basten (Pallone d'Oro nel 1988, nel 1989 e nel 1992). Il Milan dello stratega Arrigo Sacchi. Quel Milan che "stracciò" in semifinale il Real Madrid (5-0) e vinse la Coppa contro lo Steaua Bucarest (4-0 al Camp Nou in finale) nell'89. Il 1990 vide ancora l'Europa "inchinarsi" ai rossoneri definiti dalla rivista inglese World Soccer la "migliore squadra di club di sempre". Per tre edizioni consecutive (88-89, 89-90, 90-91), la Coppa UEFA venne vinta da una squadra italiana (Napoli, Juve e Inter).  Il "calcio" stesso era ormai "italiano". 
Stesso decennio, stessa storia. Furono ancora tre italiane (Juve, Inter e Parma) a portare "a casa" la Coppa UEFA dal 93 al 95. Il Milan di Capello, invece, dopo aver perso nel 1993 la Champion's League contro il Marsiglia, vinse la stessa coppa nel 1994 battendo il Barcellona in finale. Poi, la caduta. Mondiali di calcio 1994, USA. Ancora Italia contro Brasile. Ancora una volta. La finale che tutti ricordano per il rigore sbagliato dal "Divin codino" Roberto Baggio (Pallone d'oro l'anno prima) dimostrò al mondo che l'Italia del calcio, nonostante tutto, c'era. Ed era fortissima. La Juventus vinse l'edizione del 96 della Champion's League: l'Italia era diventata capitale del calcio mondiale. I campioni sceglievano il calcio italiano, in Europa temevano il nostro calcio. Da Weah a Zidane, passando per "il fenomeno" Ronaldo. Poi, il vuoto: due mondiali non all'altezza, un europeo perso in finale contro i "cugini" francesi. Fino al 2003: in finale a contendersi la Champion's c'erano due italiane. Ancora loro, ancora la Juventus e il Milan. All'Old Trafford vinsero i rossoneri, ai rigori, grazie all'ucraino Andrij Ševčenko. L'Italia era ancora l'epicentro del calcio mondiale...o forse no. Eccola, l'ennesima macchia del nostro calcio: Calciopoli. Indegna pagina di uno "sport" corrotto. L'Italia crolla, i campioni fanno le valigie. La Juventus viene retrocessa in Serie B, lo scudetto viene assegnato all'Inter. L'Italia diventa la barzelletta d'Europa. L'Italia, data per morta, risorge, ancora una volta. Vince il Mondiale in Germania nel 2006, tra le tante voci, tra i vari rappresentanti FIFA diffidenti sulla nostra partecipazione. L'Italia aveva risposto a tutte le critiche, in silenzio, con i fatti. L'Italia era di nuovo sul tetto del mondo. Il Milan vinceva la Champion's nel 2007 in quel di Atene contro il Liverpool,  grazie all'immenso Kakà. Ma nella società nella quale anche i successi sportivi sono dovuti alle spese, i campioni vanno via, acquistati dalle superpotenze del calcio. L'Italia rimane orfana di protagonisti, in Europa si stecca quasi sempre. Poi la sorpresa: un portoghese, José Mourinho porta l'Inter alla vittoria di uno storico Triplete: Scudetto, Coppa Italia e Champion's League nella stagione 2009/2010, nessuno in Italia c'era riuscito. Troppo poco. Troppo "inutile". Squillo troppo debole per risvegliare qualcosa: la crisi economica incide, e anche tanto. Oggi, ai sorteggi per gli ottavi di finale della Champion's League si tifava per una sola squadra italiana. Troppo poco per una Nazione che "vive" di calcio. Quel calcio che, però, senza risorse economiche, non è competitivo. Quel calcio che ci vedeva protagonisti e che adesso ci vede come "partecipanti". Quel calcio fatto ormai di "idoli" e pochi "leader", troppe capigliature, scarpe colorate, giochetti da spiaggia e pochi successi. Quel calcio che una volta era un gioco e che adesso è diventato "investimento sul mercato". Quel calcio dove a giocare non sono più i giocatori ma i soldi, come fossero più bravi a calciare un pallone in rete di una persona che ama questo sport. L'Italia è in caduta libera, in economia così come nel calcio, in attesa dell'ennesima "rimonta all'italiana". 
 

domenica 15 dicembre 2013

Caccia all'uomo

 <<Mi sono trovato in un mezzo pasticcio nella mia città
Così mi hanno messo in mano un fucile
Mi hanno spedito in terra straniera
Per andare a uccidere il muso giallo>> 
  
<<Got in a little hometown jam
So they put a rifle in my hand
Sent me off to a foreign land
To go and kill the yellow man>>
                                            (Bruce Springsteen-Born in the USA)
 
 
USA, il sogno di tutti, ciambelle sempre calde, successo. Frank Sinatra, Brodway, Central Park, NBA, Bill Gates, Las Vegas 11 Settembre, Hollywood. Già, Hollywood e i suoi film dalle armi galattiche. Le contraddittorie e inutili guerre. Sangue e pallottole a colazione. Dati sconcertanti, stagione di caccia infinita: gli Stati Uniti non sono mai stati così interiormente separati. Colorado, 13 Dicembre 2013, ventiquattresima sparatoria in una scuola in dodici mesi, due per ognuno di questi. Dov'è finita la civiltà?  Il giorno dopo la strage fa ancora più male: è l'anniversario della strage di Newtown, triste destino. L'attentatore, uno studente dell'Arapahoe High School, legalmente armato. L'obiettivo, una professoressa. I feriti, due suoi compagni, fortunatamente ancora in vita. Poi, la tragedia: il ragazzo si toglie la vita. Scuola evacuata, in azione i famosi SWAT dei telefilm e dei videogiochi: non era finzione, stavolta. E si perché nel Paese dei videogames "sparatutto", dei thriller e dei miracolosi "salvataggi" del mondo dal solito disastro apocalittico, quando si fanno i conti con la realtà nessuno può nulla. Inermi, a piangere. A discutere. A non risolvere nulla. "L'auto-difesa" delle armi domestiche è l'alibi, le vittime crescono sempre di più, senza fine, senza tregua, come durante una battuta di caccia. Tradizioni, queste, molto antiche (e guai a cambiar qualcosa!) di un Paese che proclama la libertà degli schiavi delle armi. "Giustizia privata", quasi da Far West, da Saloon, da incivili. Per passatempo, per divertimento, per l'oro. L'oro? La gloria, il successo, quello insomma. La soddisfazione di guardare il proprio viso in TV. Armi possedute come fossero telefoni cellulari: almeno una per famiglia. Giocattoli "pericolosi" nel Paese dei fuorilegge dove possedere un arma per uccidere non stupisce quasi più, come fosse "legale", come fosse giusto, invece, rivolgere le proprie attenzioni su inutili guerre per il petrolio ignorando la pace della propria terra. Come fosse svantaggioso pensare a sé stessi, per una volta, invece di recitare per l'ennesima volta il ruolo di "eroe" agli occhi del mondo.



giovedì 12 dicembre 2013

La protesta violenta non è una protesta: questa è la giungla "Italia"

L'Italia cambia verso, forse. Si spera, almeno. Che verso? Si chiama Matteo Renzi, è fiorentino, Firenze, terra di Dante. Cambierà mica il verso poetico? Perché il "post primarie del Partito Democratico" sembra uguale al "prima": triste. L'Italia non cambia verso, l'Italia rimane triste. Forse anche di più. In piazza è tutto bloccato, "occupato" come le scuole, come le sale d'attesa degli ospedali e dei centri collocamento. Sembrano tutti "aspettare Godot": non arriva mai, ma sono tutti lì, fermi. Non si muove nulla. L'Italia oggi sembra più una fotografia in bianco e nero. Sullo sfondo di essa tanta gente in piazza, i "forconi" (o più amichevolmente definiti da alcuni "forchette"), fautori della rivoluzione. La protesta coinvolge tutti: pensionati stanchi delle solite trasmissioni noiose in TV, studenti affetti da "mal di studio" e ultras. Ultras? Si, proprio loro. Milan-Ajax, ultima partita del girone: fuori dallo stadio di San Siro scoppiano risse. "I soliti tifosi!", direbbe qualcuno. E così, mentre la Juventus usciva dalla Champion's League per mano del Galatasaray, gli ultras dei forconi facevano barbarie "turche" dei tifosi olandesi accoltellandone tre. "This is no football!", questo non è calcio (direbbe qualcun altro..). Protestare con violenza non è protestare, è, piuttosto, comportarsi da bestie. Che senso ha essere distinti dagli animali per la nostra razionalità? Una rivoluzione col sangue non ha senso. "Benvenuti in Italia, la Nazione delle contraddizioni!", dove gli studenti si battono e manifestano per il diritto allo studio pur di non assistere alle lezioni. Dove questi occupano scuole contro la spending review e contro il MUOS. Il MUOS? Che c'entra con la scuola? "Ma si, non si va a scuola, protestiamo!" Non si superano i test universitari? "Non c'è diritto allo studio!" Non pagano gli stipendi al personale delle scuole? Si protesta in loro supporto! L'Italia non cambia verso. E' la nostra storia, quella del popolo "scansafatiche", della bella vita e degli inciuci. Che possiamo farci noi, generazione del domani? Noi, quei fortunati che non dimenticheranno mai lo "storico" gesto della polizia che, di fronte alla protesta dei forconi, ha tolto il casco. Noi, quei "fortunati". L'Italia è bloccata, la polizia si toglie il casco, i forconi hanno "vinto". Si, forse. Hanno vinto? "Quanto?" Non scherziamo: in Italia non si vince, si perde. La nostra penisola è in caduta libera dalla fine dell'Impero Romano, ammettiamolo. La protesta violenta NON PUO' essere definita una protesta: è la giungla, piuttosto. E in questa vige la legge del più forte. E mentre un certo "leader" nostalgico minaccia l'ennesima "rivoluzione" in suo favore in caso di condanna, l'Italia diventa apatica, quasi "anarchica". Non c'è un ordine, solo confusione. Come in quelle stazioni o quegli aeroporti dove la gente, veramente stanca, non protesta con la violenza ma con un biglietto di sola andata e un sorriso, verso quell'ordine che stavano cercando.


mercoledì 4 dicembre 2013

Road to Brazil 2014: "i padroni di casa"

Terza tappa del nostro viaggio, tocca doverosamente alla Nazione ospitante: il Brasile
Dici "calciatore" e ti viene in mente Pelé o Ronaldo, dici "calcio" e ti viene in mente il Brasile. Perché lo sport più amato e seguito al mondo (in epoca moderna, come lo conosciamo noi) sarà pur nato in Inghilterra ma è in Sud America che trova il suo epicentro. Un mondiale, per loro, vale la vita, a maggior ragione se giocato in casa. Ed ecco che, a sessantatré anni di distanza dalla disastrosa sconfitta in finale contro l'Uruguay in quel 16 Luglio 1950 (e con cinque titoli in più) la nazionale "verdeoro"è pronta a prendersi la rivincita e sfatare il tabù Maracanã. Così, dopo la vittoria nell'ultima edizione della Confederations Cup, la solita "prova generale" della rassegna intercontinentale, l'intera Nazione della Samba, del Carnevale di Rio, dei sorrisi e della felicità, messe da parte le polemiche della vigilia e potendo contare sul supporto di tutta la popolazione (non sei brasiliano se non ami il calcio), si appresta ad acciuffare il suo sesto "mundial de futebol" della sua storia, salvo sorprese "europee" (magari azzurre, aggiungerei).

UNA MAGLIA, UNA BANDIERA: 
Eccola, allora, la divisa Nike della Seleção, presentata ufficialmente durante il "Festival dos Esportes" dove erano presenti Luiz Gustavo (Wolfsburg) e Felipe Scolari (attuale CT della nazionale verdeoro) e il Creative Director di Nike Football, Martin Lotti, che definisce il kit del Brasile "come la bandiera nazionale, esso rappresenta il paese e il suo popolo". E la storia del "tutto chiaro, tutto scuro"? Per loro non vale? Evidentemente i padroni di casa hanno sempre diritto a qualche privilegio.. 







Semplice, snella, "classica". Uno dettaglio rilevante è il colletto: verde e con i lembi uno sull'altro, quasi somigliante ad una Y. Dentro, visibile, la figura del "Canarinho", disegnata da Bruno Big in un triangolo verde. Un kit pensato soprattutto per la massima comodità dei giocatori: il tessuto, infatti, è più leggero di quello della divisa della Confederations Cup del 16% con traspirazione dai fori laterali. Importanti ritocchi, infine, allo stemma della federazione (CBF): di dimensioni aumentate e con le cinque stelle sopra il logo campeggia sulla divisa ricordando che, come scritto nel retro della "toppa", chi gioca, è "Nascido para jogar futebol" che riecheggia come un urlo intimidatorio, quasi a voler dire "attenti, Neymar e compagni stanno arrivando". E noi li stiamo aspettando.

CHE FINE HA FATTO IL SUPER SANTOS?
Molto più simile ad un pallone "di fortuna", acquistato all'ultimo minuto per giocarci in spiaggia, a tre giorni dai sorteggi, ecco Brazuca, il pallone Adidas che sarà utilizzato durante le partite del Mondiale di calcio FIFA. Dallo stile indecifrabile (nonostante studi approfonditi), rappresenta i colori del Carnevale di Rio (verde, rosso e blu) e lo stile dei braccialetti portafortuna brasiliani (chi non ne ha mai avuto uno?). 




Testato da oltre 600 calciatori e 30 squadre attraverso 10 nazioni e 3 continenti, l'erede dei vari Jabulani, Teamgeist, Fevernova e gli altri "amici", suscita già parecchie critiche per via della troppa "leggerezza": assisteremo, quindi, all'ennesima rassegna piena di errori del portiere a causa delle traiettorie indescrivibili tracciate da queste "palle pazze"? Una cosa è certa: chi gioca con queste sfere, gioca con il popolo brasiliano: "brazuca" è un termine usato all'estero come definizione di "brasiliano", come se i giocatori verdeoro stessero realmente trascinando "palla al piede" un'intera nazione alla vittoria.





Fonti:
http://www.passionemaglie.it/ 

domenica 1 dicembre 2013

"Si può morire d'amore?"

Si può morire d'amore? Non l'amore dei cuoricini, quello di Cupido e dei baci sulla panchina del parco. Si può davvero morire per la propria passione? Non per il troppo amore, ma a causa di esso? Giulietta morì per l'impossibile relazione con Romeo. Racconti, storie.. protagonisti di una trama, non della realtà. E si perché, per una volta, è doveroso parlare di loro, di chi non è citato nei libri. Di chi non spunta sulla copertina dei libri di storia, ma che, per la propria passione, "da la vita". L'ultimo ad andarsene è stato Doriano Romboni, ex pilota Superbike, deceduto durante il "Sic Day" lo scorso 30 Novembre 2013. Doriano aveva 44 anni ed era lì, in sella alla sua moto, per ricordare chi, nel 2011, ha offerto la vita per la sua passione: Marco Simoncelli. Tristezza, freddo, Sic Day annullato, giustamente. Cronache di uno sport incompreso da molti, quello delle corse. Una settimana prima il povero Matteo Roghi, 14 anni. Un gol all'ultimo minuto la causa del decesso, il pareggio della sua squadra all'ultimo istante. Poi il gelo: cade sul suolo, immobile. Un malore, medici in campo. Scalpore. Non c'è nulla da fare, Matteo è già morto. Il mondo del calcio immobile, si fa per dire. Si continua a giocare in Serie A, non si ferma nulla: "The show must go on", insomma. Storie accomunate dalla fatalità, dall'amore. Quell'amore immenso nei confronti della propria "madre". Che cos'è, in fondo, una passione, se non una sorta di "mamma"? Quella mamma che ti plasma, ti insegna a vivere. Che ti offre tutto, ti vizia, e che a volte ti toglie quel tutto. Che pur di non deluderla si portano al limite le proprie forze, si va oltre...fino a qui. Doriano e Matteo sono gli ultimi. Che ti chiami "Sic", "Moro", Antonio Puerta non importa, da quando lo sport è diventato un "gioco a premi", non si guarda più in faccia nessuno. Troppo business, molta importanza allo spettacolo. Diritti TV, canali satellitari, offerte, scarpette sempre più colorate, vetture aerodinamiche e veloci, magliette attillate, sostanze dopanti, soldi. Sponsor, troppi sponsor. Da quando non si gioca "a pallone" ma "a calcio", da quando "si corre" e non "si gira" in moto, lo sport non è più "sport". Insulti, razzismo, violenza. Tanta violenza. Non ci si diverte quasi più: l'obiettivo è vincere per essere ricompensati. Manager che "buttano nella mischia" i propri assistiti credendo siano pupazzi, indifferenti all'umanità. Questo è il nuovo mondo dello sport, molto più simile ad una scacchiera con le pedine che si muovono. Uno spettacolo la cui trama è decisa, il più delle volte, a tavolino. Romboni, Roghi, Sic, Moro, Puerta sono alcuni degli "eroi" del vero sport, baluardo di chi, ancora, crede nella propria passione. 




martedì 26 novembre 2013

La Milano del Sud

C'è freddo oggi a Catania. Non è un freddo polare, certo, ma entra nelle ossa. Le anziane signore non si incontrano in giro poco prima delle otto di mattina e la gente va, barcollando, per le strade imbottita tanto da non sembrar parte del genere umano: si riescono a vedere "solo" gli occhi. Eccolo il Catanese DOC ("Di Origine Concetta", o Cettina, antenata o meno), alle sette di mattina in giaccone, sciarpa e cappuccio (rigorosamente con i colori del Calcio Catania), spavaldo, fiero di essere quel che realmente presenta di essere. Non un broncio, non una ruga di tristezza. Ma noi siamo così: solari e calorosi anche nelle difficoltà, prima di andare a lavorare. Basta passeggiare per le viuzze del centro alle prime ore del giorno per notare che qui, il tempo, non si ferma MAI. O meglio, non si fermava mai. C'è crisi di sentimento, oltre che economica? (Verrebbe quasi da pensare) Ma si, insomma, forse, no. Diciamo che, in ritardo, ci stiamo "uniformando" al resto dell`Italia, perdendo gran parte della nostra unicità. "Tuttu u munnu è paisi!" (Per "gli stranieri", tutto il mondo è paese) quindi. Il concetto di "mondo", "Italia", fa venire in mente, più che ad una "globalizzazione" ad un' "italianizzazione". L'aria che si respira, miei conterranei, sembra essere solo a me diversa? Sembra più pesante, quasi più umida. "U paisanu" (il paesano, abitante del paese) rozzo e scorbutico c'è sempre stato. Un'intera città no. Siamo spettralmente distaccati. Catania si trasforma. Diventa una nuova città, molto più simile a Milano che ad una città del Sud: tutti a correre, indaffarati, non un istante di pausa, non un secondo di troppo a prendere il caffè. "A lavurà terun!" (direbbe quacuno) Siamo distratti, non abbiamo un secondo del nostro tempo da dedicare alle relazioni interpersonali che la discussione si ferma a "Ciao, sono in ritardo, scappo!". Siamo diventati "freddi", noi, che abitiamo in un luogo tradizionalmente "caldo". E se anche sugli autobus i controllori controllano i biglietti e multano i passeggeri sprovvisti di essi, "dove vogliamo andare andando?" Non ci rimane neanche la gioia per la partita del nostro Catania la Domenica: tifo ridotto a qualche coro, lamentele se non si vince. Lamentele pure se si vince. Sembra che tutto ció che ci dava sollievo, adesso non ci riguardi. Guardiamo tutto il mondo dall'alto in basso sentendoci "signori" di un qualcosa che non ci appartiene, più. Sentendoci superiori a chi porta avanti le nostre tradizioni, a chi cerca invano di mantenere vivo il lumicino del catanese. Quello che sorrideva, quello che prestava aiuto a tutti, che non crollava sotto il peso delle difficoltà e che, solare più del sole stesso, faceva spuntare un sorriso dalla propria bocca priva di denti. Fin troppo lontani dalla nostra terra, quasi come stranieri in casa nostra. Ecco cosa siamo diventati. La "Milano del Sud", secondo molti.

domenica 24 novembre 2013

Da "piccolo Barcellona" a "ultima della classe": la metamorfosi del Calcio Catania

E' maggio, il 19. Campionato finito, stagione 2012/2013 da record: il "piccolo Barça" (come è stato definito da molti opinionisti) di Rolando Maran si classifica ottavo a 56 punti. E' storia, è record di punti in Serie A. In settimana l'ultimo raduno, poi i saluti. Giocatori e collaboratori a casa dalle proprie famiglie: chi in vacanza, chi a pensare alla prossima stagione, chi impegnato con i propri procuratori a sbrogliare questioni di calciomercato. La vetrina estiva della "fiera dell'Est" dei calciatori allontana alcuni componenti importanti: il primo a far le valigie è l'amministratore delegato Sergio Gasparin, licenziato per alcuni "malintesi" al vertice. Viene sostituito da un giovane sulla quarantina: belloccio, tatuato, affascinante quanto "fuori luogo", è l'agente FIFA Pablo Cosentino che ricoprirà la carica di vice-presidente del club siciliano. Si capisce già che qualcosa non va. Seguono le cessioni del Papu Gomez, corteggiato dall'Atletico Madrid del "cholo" Simeone ma preso dagli ucraini del Metalist. "Ciccio" Lodi passa invece al Genoa in cambio del greco Panagiotis Tachtsidis. Alla squadra ligure giocherà anche Giovanni Marchese, in scadenza di contratto con i rossazzurri. L'estate passa veloce, forse troppo. Nessuna amichevole in programma, solo test match di portata inferiore. Qualcosa non va, si nota immediatamente. Il presidente annuncia una stagione ad alti livelli. Non è da lui, qualcosa sta cambiando. Non si lotta più per la salvezza: si gioca per migliorare il record di punti della stagione scorsa. Escono i calendari, la prima contro la Fiorentina dell'ex Vincenzo Montella. E, forse, il destino già sapeva come sarebbe andata a finire. Tante speranze, tante ambizioni. Eccoci, si inizia. Ma il Catania è stanco, impacciato, si vede. I primi minuti a studiare gli avversari ricordando, probabilmente, la facilità disarmante con cui la squadra arrivava sottoporta l'anno prima. Il Catania va sotto: di pepito Rossi è il gol, di Monzon l'errore. Il Catania pareggia: Pitu Barrientos insacca dalla sinistra. Il Catania rialza la testa, ci siamo, è tornato. Il Catania va di nuovo sotto: Pizarro, ma non era in dubbio alla vigilia? Il Catania si spegne, il Catania non c'è più, il Catania perde la prima partita della stagione. "Ci rialzeremo, ho visto una buona squadra" dicono. L'ambiente, però, non è sereno: via Marco Biagianti (nessuno si è scomposto), "via" anche Pitu. Quale migliore notizia alla vigilia di Catania-Inter? Allo stadio i tifosi sono tristi: si respira un'aria anomala, sono stanchi. Il Catania non scende in campo, l'Inter vince la partita 0-3: non si tratta di una sconfitta a tavolino, però. Sotto accusa il centrocampo e la difesa: urgono provvedimenti immediati. Pitu resta: arrivano anche Cristiano Biraghi, Jaroslav Plasil e Tiberio Guarente. "Ci rialzeremo, ho visto una buona squadra" ripetono. Dieci minuti, niente più: ecco quanto dura il Catania, sempre più stanco, sempre peggio. Più aumentano le sconfitte, più aumentano gli infortunati. Preparazione sotto accusa, panchina di Maran che traballa. Gira voce di uno spogliatoio sempre più in crisi: il Catania pareggia la seconda in casa contro il Parma. I tifosi fischiano, i giocatori quasi si fischiano da soli. Sui giornali si racconta di un gruppo allo sfracello, brutta copia della squadra dello scorso anno. Tifosi sempre più tristi. Allenamenti a porte chiuse, gioco sempre più deludente. "Ci rialzeremo, ho visto una buona squadra" ancora, ancora e ancora. Plasil fa esplodere lo stadio, Castro lo fa quasi piangere di gioia: il Catania si rialza, il Chievo è battuto. Lode a Maran e al presidente Pulvirenti: la stagione inizia da qui. Si va a Roma, contro i biancocelesti "dell'amico" Claudio Lotito: la squadra "dura" quindici minuti, poi i giocatori guardano la partita da spettatori non paganti. Torna la tristezza, Maran deve andar via, il presidente ha sbagliato tutto. Ancora Pitu contro il Genoa, ancora un disastro: Legrottaglie aveva fame di gol, ma sbaglia porta. Piovono i fischi, sempre più pesanti. I giocatori applaudono, ma cosa applaudono? Il Genoa si rialzerà, il Catania no. Contro il Cagliari cambia qualcosa: non si vince, si perde, Maran via. Arriva Gigi De Canio. Il malcontento aumenta, le perplessità con lui. La partita contro il Sassuolo è uno spareggio: contro la peggior difesa del campionato il Catania riesce a non segnare. "Ci rialzeremo, ho visto una buona squadra". Ma da uno che rassicura i tifosi dicendo "non ho la bacchetta magica, lotteremo fino all'ultimo minuto della stagione" cosa ci si può aspettare? Il Catania va sempre peggio: perde allo "Stadium" contro la Juventus e perde anche Bergessio. In settimana aveva perso anche Barrientos e Plasil, che si aggiungono ad Izco, Bellusci, Spolli, Peruzzi, Monzon, Almiron, Boateng, due raccattapalle e un tifoso nella lista degli indisponibili. Il Napoli fatica ma distrugge i rossazzurri: è 2-1 al San Paolo. "Ci rialzeremo, ho visto una buona squadra", per l'ennesima volta. Maxi Lopez viene lasciato dalla moglie per Maurito Icardi e, con la testa più leggera (in tutti i sensi), segna il rigore che fa vincere al Catania la partita contro l'Udinese: i friulani dominano, i siciliani tirano una sola volta. "L'importante era vincere", i tifosi "apprezzano", diciamo. La nazionale di Prandelli regala alla squadra due settimane per affinare i meccanismi di gioco, De Canio rassicura sempre di più i tifosi: "Dovremo lottare fino all'ultima partita per salvarci". Catania, città, è triste, rassegnata, sconsolata. I media difendono la società e il gruppo, negano l'evidente difficoltà. La nazionale ha finito le amichevoli per questo 2013, si riparte dalla Torino "granata": cambia lo stadio ma il Catania ne prende quattro lo stesso. Legrottaglie si ferma a pregare, "immobile", lasciando palla e un corridoio al vero Ciro Immobile: è 1-0. Al secondo ci pensa Guarente con un assist a El Kaddouri. Due cambi prima della fine del primo tempo: dentro Pitu e Leto, fuori Guarente e Castro. Piovono insulti a De Canio, spogliatoio sempre più spaccato. Voglia di spegnere la TV, tifosi frenati dalla fede calcistica. Barrientos inventa, Maxi rifinisce, Leto conclude: splendido gol. I tifosi hanno fatto bene a non spegnere la TV. E' finita la partita, il Catania non gioca più e incassa: prima Moretti, poi un regalo a El Kaddouri. Con chi si sblocca il belga? Primi gol in Serie A, prima doppietta. Cerci ne sbaglierà cinque o sei sottoporta. "Ci rialzeremo, ho visto una buona squadra" diranno. Catania è stanca, il Calcio Catania è stanco, i tifosi sono stanchi. 9 punti e ultimo posto in classifica condiviso con il Chievo Verona. Strano destino di chi nella stagione 2006/2007 si contendevano la salvezza all'ultima giornata. Cosa è successo al "piccolo Barça"? Catania riflette, sorride amaro e piange, perché l'unico sorriso di una città continuamente in difficoltà si è trasformato in un cupo e triste broncio. 



domenica 17 novembre 2013

"L'Italia agli italiani!"

Al di là dello slogan di stampo fascista, l'Italia, "ahinoi", non è più degli italiani. 
E si perché mentre il mondo ammira con entusiasmo la storia del nuovo sindaco di New York, l'italo-americano Bill De Blasio (curioso come un uomo di origini italiane si chiami "tassa" no?) noi, poveri italiani, viviamo sempre più in una terra "multinazionale": ci stanno togliendo tutto.
Così, settimane fa, la notizia che "Telecom Italia" per il 66% diventa "Telecom Italia-Spagna" (anzi, Spagna-Italia visto che le quote societarie pendono più sugli spagnoli che su noi). Ma immaginate un centralinista di Telecom Italia parlare in spagnolo mentre offre un nuovo contratto al malcapitato utente che viene quotidianamente svegliato? "Buenas dias!"
Ma buenas dias a chi? A noi italiani? Ma non stavate peggio di noi? E comprate la nostra azienda di telefonia nazionale? 
"Fortunatamente" però (dipende dai casi eh) stavolta i nostri cugini francesi dovranno "accontentarsi" della Gioconda perché il loro piano di acquisizione di Alitalia è fallito miseramente. Almeno per adesso quindi i francesi rimangono "partner" dell'azienda con il 25%.
Ricapitoliamo: siamo senza telefono e siamo senza aerei. Non siamo più i padroni di niente.
E quindi se noi, cittadini, non siamo proprietari nemmeno delle nostre cose, cosa ci rimane?
La passione...
...a meno che comprino anche quella.
E' il caso, quindi, dei tifosi delle squadre di calcio di Roma e Inter che hanno assistito alla svendita delle loro "passioni" al miglior offerente straniero. 
"Cose da turchi!" Ma gli sceicchi (spaventati forse da Zamparini), almeno una volta, non c'entrano.
Era la primavera del 2011 quando l'americano Thomas DiBenedetto (di chiare origini italiane) diventa azionista di maggioranza della società AS Roma dopo una lunga e travagliata trattativa con Unicredit. Ad agosto dello stesso anno, Tommaso diventa quindi presidente della Roma acclamato da tutti i tifosi della "Magica" promettendo la solita "rinascita calcistica" della squadra. Un anno dopo, avendo convinto i suoi tre amici "del baretto" con la sua magistrale esecuzione de "il presidente finto", lascia la carica a James Pallottola (insomma, al primo miliardario azionista che passava).
Oggi la Roma è prima dopo aver esonerato tre allenatori e speso, male, gran parte del suo budget. 
Dov'è finita la passione?
Due giorni fa è toccato all'Internazionale di Milano (per gli amici, "Inter"): l'indonesiano Erick Tohir (no, non è PSY e non canta Gangnam Style) diventa azionista di maggioranza della società (con il 70%). Già proprietario di altre società sportive (DC United, Persig Bandung nel mondo del calcio e Philadelphia 76ers nel mondo della pallacanestro), siamo sicuri riuscirà a distinguere un pallone da basket da quello da calcio? Dice, infatti, a "Che tempo che fa" intervistato da Fabio Fazio di essere tifoso dell'Inter sin da bambino citando anche alcuni giocatori (tra i quali il plurisfortunato Nicola Ventola, che salutiamo affettuosamente). 


Appena arrivato ha già promesso "botti di mercato" e un nuovo stadio. A mio parere, però, questo non ha nulla a che vedere con il calcio. 
Come, d'altronde, tutto questo non ha nulla a che vedere con la "normalità".
Cosa ne rimarrà tra qualche anno di un Paese che, secoli fa, per cultura e risorse era "al top"? 
Ci avete tolto i soldi, il telefono, "l'ala" di un aereo, ci state togliendo le squadre di calcio e la maggior parte delle aziende.
Lasciateci, però, almeno la speranza e la possibilità di cambiare. Sono sicuro che non ve ne pentirete.

sabato 16 novembre 2013

"Il Cavaliere Oscuro-Il ritorno"

E' tornato. Ed 'è più forte che mai. E per l'occasione si è anche rifatto il truc...l'armatura. La storia è quella del solito miliardario proprietario della più importante azienda del suo Paese, odiato da tutti, e "infine" circodato da donne. Il suo obiettivo? Scacciare la criminalità e la povertà che affligge la sua terra agendo di notte, in maschera e mantello: lui è B...erlusconi.
E si perché il paladino della giustizia che da 20 anni protegge la nostra Gotham City è tornato. Dopo il cambio di direzione del suo amico Superman (Angelino Alfano), oggi, Silvio Berlusconi è intervenuto al Consiglio Nazionale (al "Palazzo dei Congressi" di Gotham) insieme al suo fidato amico Robin (Renato Brunetta) per annunciare a tutto il Paese che FORZA ITALIA E' TORNATA! 
Quale migliore annuncio verso l'anno del Mondiale? Bravi! Evviva l'orgoglio nazionale! Bisogna sostenere la nostra rappresentanza nella rassegna internazionale! GRANDI! Evvai che quest'anno vinc...ah, non quel "Forza Italia"? Intendevate il partito?
"Sono felice che noi siamo ritornati a questo nome che abbiamo ancora tutti nel cuore: Forza Italia" dice il Silvio nazionale. "Nel 2007 avevamo deciso di adottare il nome del Pdl perché si era tentato di mettere insieme tutte le formazioni politiche che costituivano il centrodestra. Nel tempo alcuni sono venuti a mancare e abbiamo ritenuto che non fosse più il caso di avere un nome nuovo e non il nome con cui eravamo partiti, anche perché eravamo rimasti ancora noi, quelli del '94".
Si, ha ragione! Siamo rimasti un po' tutti quelli del '94! Io sarei nato quest'anno, le TV sono ancora in analogico, la Playstation sarebbe uscita l'anno prossimo e Roberto Baggio deve ancora battere quel rigore fatale: che qualcuno vada a dirgli di calciarlo basso stavolta! Correte, su! Eh, caro Silvio, tu però sembri un po' invecchiato eh! D'altronde come ammette lui stesso "Per quanto riguarda la nostra economia, da 20 anni non cresce." Allora si, è vero! SIAMO ANCORA QUELLI DEL 1994!


E quando parla dei suoi acerrimi nemici Joker e Spaventapasseri, ammette: "Alla Merkel e Sarkozy dava fastidio questo signore che era seduto al tavolo dei capi di stato e governo e aveva l'esperienza e la voglia di dire no a molte delle loro proposte che apparivano a me insensate".
Che grande che è il nostro Cavaliere Oscuro!
E riferendosi al Commissario Gordon e compagni dice:  "Abbiamo una magistratura che, unica nei Paesi civili, è incontrollabile, irresponsabile e se sbaglia fruisce di un'assoluta impunità. I giudici - spavaldo - si giudicano tra di loro in virtù di un privilegio medievale che dà alla magistratura la possibilità di giudicarsi tra i componenti della stessa casta".
E alla fine del discorso, dopo "un lieve malore", Brunetta chiede alla platea la votazione del nuovo partito politico. Prima di commentare la reazione del pubblico, guardate questo video.
Visto?
Adesso guardate attentamente gli istanti della votazione.
Differenze?
Peccato che, però, questo non sia un film comico ma la pura e triste realtà...

venerdì 15 novembre 2013

Road to Brazil: le divise di Russia, Giappone e Colombia.

Eccoci alla seconda tappa del nostro tour attraverso le "bandiere-maglie" delle nazionali di calcio in vista del Mondiale FIFA che si terrà in Brasile nel 2014: oggi altri prodotti Adidas (che, come vi sarete già accorti, è solita "anticipare" le presentazioni dei vari kit) tra Russia, Giappone e Colombia.

RUSSIA:
Come detto, tocca alla Russia del "nostro" Fabio Capello che torna a disputare un mondiale dall'edizione del 2002 (Corea del Sud-Giappone), e torna in grande stile! Al di là del solito e triste destino del "tutto chiaro, tutto scuro" (tormentone del mondiale in attesa della solita canzoncina), il kit si presenta parecchio bene grazie anche alla dinamicità dello stile ispirato al Monumento ai cosmonauti di Mosca.


Insomma, una Nazione che tiene molto alle tradizioni e che non smette di celebrare i propri traguardi sportivi e non anche in questo caso.

GIAPPONE:
Altro prodotto Adidas, altro allenatore italiano: parliamo del Giappone di Alberto Zaccheroni. Qualificata con largo anticipo, la nazionale del Giappone presenta sulla divisa un look ispirato alla bandiera della marina giapponese: dallo stemma della Federazione (JFA) partono, infatti, dei raggi che si espandono per buona parte della maglia. Uno stile non molto sobrio, però, nella scelta dei colori: il blu (dominante in tutto il completo) viene affiancato da rifiniture bianche e da una banda color rosa salmone (già vista finora in tutti i kit Adidas) che si estende per tutta la larghezza delle spalle.


Da sottolineare la qualità del prodotto (che sfrutta la tecnologia "Adizero") che lo stesso Endo (centrocampista del Gamba Osaka -si, è una squadra di calcio-) definisce "comodo e leggero". Cosa ne penserebbe Oliver Hutton di queste casacche?

COLOMBIA:
Infine, per oggi, ecco quella che viene definita "la maglia della discordia": il kit della Colombia. Sembra, infatti, che i rumors riguardo la possibile casacca della nazionale colombiana abbiano causato non poche critiche nel corso delle scorse settimane. Un tweet "pacifico" di Adidas Colombia, del resto, chiarisce ogni dubbio: “Se non vi piace la nuova maglia della nazionale colombiana potete anche non comprarla, mandria di decerebrati. In Colombia siete solo bravi a criticare”. Giusto no? Eppure i tifosi della Colombia non avevano tutti i torti a criticare il prodotto...


...a parte la resa pessima dei colori e del template, tutta la Colombia alza un coro a gran voce: "Dov'è finita la nostra bandiera?"
Pare, infatti, impossibile trovare anche un solo riferimento alla tradizione in questo kit...o no.
Sotto il colletto, sulle spalle, è ben visibile il simbolo delle ali del condor delle Ande e dentro di esse uno slogan-hashtag: #UnidosPorUnPais, quasi a voler dire "Amici dell'Ecuad...ehm, della Colombia. Non abbiamo fatto un gran lavoro, scusateci. In compenso vi mettiamo le ali del condor delle Ande. Fa lo stesso, no?"...
... Sembra proprio di no.



Fonti:

http://www.passionemaglie.it/

giovedì 14 novembre 2013

Road to Brazil 2014: divise come bandiere tra nuove regole FIFA e malumori.

"Non ci sono più le mezze stagioni". La FIFA ha emesso la sentenza definitiva: addio alle divise tradizionali e variopinte delle nazionali di calcio per lasciar spazio a kit più semplici e interamente chiari o scuri. Inutile dire che questa stravagante idea venuta "dall'alto" non abbia destato scalpore e causato polemiche: tra intere Nazioni contrarie e tifosi perplessi il "comandante" Blatter (che nelle ultime settimane sembra essersi divertito parecchio a definire un noto calciatore "soldatino") continua a perdere colpi, oltre che consensi.

In attesa, però, delle ultime squadre qualificate alla rassegna mondiale che si terrà in Brasile nel corso dell'estate 2014, iniziamo insieme un viaggio per scoprire le divise ufficiali delle nazionali:

SPAGNA:
E' doveroso iniziare dai campioni in carica: la Roja. Lampante la differenza con le divise tradizionali: il blu e il giallo lasciano spazio alle rifiniture dorate in un completo totalmente rosso in stile Bayern Monaco (stagioni 2011/2012-2012/2013). Il binomio Adidas-Spagna sembra funzionare bene: si tratta, infatti, di un kit abbastanza "pulito" che, però, causa non poche critiche. C'è chi dice di rivedere in esso una tendenza della casa produttrice alla rivisitazione di alcune casacche, altri dicono di aver già visto una divisa simile addosso ai giocatori dei Reds del Liverpool qualche stagione fa.



Altra novità è, inoltre, la correzione dello stemma: al posto dello scudo araldico che rappresentava i Borboni di Francia, ecco i tre gigli inseriti in uno scudo araldico ovale che separa la dinastia spagnola dai cugini francesi.



Riuscirà, insomma, la Roja dei marziani a riconfermarsi campione del mondo? Adidas ci mette del suo e riscalda gli animi dei tifosi: ‘"La Roja o ninguna" (La Rossa o nessun’altra).

ARGENTINA: 
Tocca alla Selección di Messi, Aguero e compagni in un'inedita versione della camiseta albiceleste che farebbe drizzare i capelli anche al "Pibe de oro" Diego Armando Maradona: senza i tradizionali pantaloncini neri (storici) per alcuni viene infatti difficile distinguere Cutolo (attaccante del Pescara) da Palacio (salvo poi il riconoscimento del codino).
 


GERMANIA:
Stile proprio "tedesco" per la Germania con la bandiera ("graduata") che campeggia sulla maglia bianca. Il triste destino del "tutto chiaro o tutto scuro" colpisce anche loro: niente più pantaloncini neri, solo bianchi. Rottura con la tradizione che, però, non crea problemi ai tifosi che si dicono pronti ad accettare il re-style che riporta alla mente la divisa indossata dalla Germania dell'Ovest contro la Polonia nel 1974.


Sotto il colletto, sulle spalle, la scritta “Die Nationalmannschaft” (“La nazionale”) a sottolineare il noto patriottismo di un'intera Nazione.


E voi che ne pensate?

Vi rimando al prossimo pezzo con novità e aggiornamenti sulle divise delle altre nazionali di calcio!


Fonti:
http://www.passionemaglie.it/

mercoledì 13 novembre 2013

(Non) è un paese per "vecchi"

No, mi spiace, non stiamo parlando di un famoso film. Il ritratto è quello di una signora, non più giovane. Sul volto gli inevitabili segni del progresso economico-urbanistico degli ultimi trent'anni. Il paragone viene spontaneo: tra l'attuale paesino di Tremestieri Etneo e la "Verghiana" Trezza non v'è alcuna differenza. "Il paese dormitorio" viene definito, "dove non accade mai nulla" dicono altri: l'unico problema è la triste esattezza di queste etichette. Come una squadra di calcio professionistica "scendono in campo" (in piazza) loro, i vinti, gli umili, che ogni giorno, dalla mattina alla sera, panchine come banchi di scuola (e guai a chi prova a rubargli il posto!), discutono dei "soliti" discorsi da vecchi: non ci sono più le mezze stagioni, i giovani d'oggi sono tutti maleducati, "ah quanto erano belli i vecchi tempi!", i politici sono tutti "ladri" per concludere con le solite opinioni da "bar dello sport" sul malcapitato allenatore incompetente. Eccoli, loro, i giovani della nuova costituzione. Loro che si sono battuti tanto per cambiare la nostra Terra, che adesso sono stanchi, sfiniti, a ricordare i tempi andati. Ma poiché, nel paese dei giovani e delle tante iniziative (e dei parrucchieri e panifici), non ci si può proprio far mancar nulla, pur di conservare il paragone (sicuramente prestigioso) con i vinti dei Malavoglia, tutto rimane fermo.





Se, infatti, a qualche volenteroso "giovine" venisse l'idea di dare una svolta alla vita del paese, i saggi di questo penseranno immediatamente a bloccarla, facendola apparire inutile e svantaggiosa alla popolazione. Se, invece, ad un "senex" (meglio definirli così, data l'autorevolezza) venisse in mente di adottare una linea politica svantaggiosa e "abusata" dai predecessori, il "populus" verrà guidato alle urne da un fortissimo senso di nostalgia. Ma in fondo, in un paese per vecchi, cosa ne sarebbe delle anziane signore (dai trenta in su) se gli venissero sottratti i pettegolezzi e gli argomenti di critica? (Il mio non vuole essere un attacco alle povere donne, d'altronde alcuni episodi sarebbero degni delle migliori sceneggiature delle telenovelas) Non mancano, infine, le attività ricreative legate alle tradizioni polit...religiose. "Insomma, nel paese dove non succede nulla allora qualcosa succede!", direte voi. E' esattamente questo il punto: si va avanti...a passo di gambero.
Riusciranno i nostri eroi, giovani illusi e alquanto volenterosi, a cambiare una volta per tutte l'opinione negativa che "i forestieri" hanno del paesino dormitorio?
"Ai posteri l'ardua sentenza"...