lunedì 6 gennaio 2020

Parresia, Vol. 2: L'ultimo sigaro

L'ultimo sigaro è un po' come l'ultima sigaretta di Zeno. Ultima, per ultima tra le cose. "Un po' come l'ultima sigaretta", però. L'ultimo sigaro è "differenza" arrotolata tra foglie e nicotina. E' una sentenza proferita dal giudice morale che alberga dentro di noi, con mezza pensione. Ho fumato l'ultimo sigaro.

E' stata l'ultima tra le cose che avevo da fare. Ho deciso di farlo nel silenzioso mezzogiorno, mentre il tacito assenso del sole faceva sfogare il vento. Ed è stato allora che ho compreso il peso di quella decisione: la scintilla dell'accendino, il solito accendino, mi ha trasmesso la sofferenza di una fiamma che non aveva più la forza di opporsi alle folate che le impedivano di divampare. Strana coincidenza. Ho fumato molti sigari nel corso degli ultimi anni: ammezzati, i perché della scelta non li ricordo. Da sollazzo a riflessione: tutti hanno avuto il loro momento. L'ultimo era già iniziato: l'ho trovato nella sua forma "perfetta", a metà tra il nuovo e il passato. Aveva capelli di cenere in perfetta condizione e una coroncina ben definita attorno ad essi. Raccontava dell'ultima fumata, prima di essere inesorabilmente acceso. Diceva di aver dialogato con un vento marino di inizio inverno, neanche troppo tempo fa. Sembrava, ha aggiunto il sigaro, che quel vento avesse riportato l'ordine nelle piazze e i petali sui fiori, dopo l'ultima, veloce tempesta. Erano stati tre giorni difficili per tutti, tra il conto dei danni e degli anni: ma quel vento marino sembrava aver rimesso tutto in ordine. Gli raccontò, e mi raccontò di conseguenza quel sigaro (l'ultimo sigaro), il profumo del Natale, visto che sì, il Natale ha un profumo tutto suo. Non ha fatto in tempo a proseguire il racconto, strozzato dalla fiamma che in un attimo di pietà del vento (che di marino ha poco, questa volta) è riuscita a levarsi fiera.

La mia prima sigaretta fu in un parcheggio, d'estate. Ho sempre tenuto ai miei polmoni, ma l'odore e la visione ipnotica di quei fili di tabacco che bruciano non mi sono mai stati antipatici a tal punto da definirli, rispettivamente, "puzzo" e "ribrezzo". Sono gusti. Il sigaro è stato di più. Svevo, per bocca e pensieri di Zeno, ammette che le "altre sigarette", a differenza dell'ultima, "hanno la loro importanza perché accendendole si protesta la propria libertà e il futuro di forza e di salute permane, ma va un po' più lontano". L'ultima, invece, ha un gusto più intenso. "Acquista il suo sapore dal sentimento della vittoria su se stesso e la speranza di in un prossimo futuro di forza e di salute". L'ultimo sigaro, il mio ultimo sigaro, a differenza delle sigarette di Zeno non mi ha offerto alcuna via alternativa: e quasi alla fine si è spento. Il vento ha reso interminabili i tiri, cambiando lo scenario. Si è spento da solo, come avrebbe dovuto. Mi ha lasciato un messaggio prima di andare: il calore sui baffi che salvaguardo gelosamente dalle difficoltà quotidiane. La sentenza del giudice morale che ha scelto di saldare il conto e lasciare la sua stanza d'albergo. La cenere è caduta: il vento si è alzato. Tempi mutevoli bussano alla porta. 

Cosa offrirò, adesso?