venerdì 28 febbraio 2020

Parresia, Vol. 4: Mal di testa


Scorre veloce, il giorno nebbioso. Fugace attimo fisso nel tempo: atipico abbraccio del caso. Uniforme: sorge e tramonta nella stessa maniera, e con fare elegante preannuncia il mistero di un orizzonte invisibile. Immaginario. Col verso del silenzio si presenta privo di fastidio, sospeso: ponte tra il passato e il futuro.

Accoglie il risveglio delle intenzioni. Dona rifugio ai sognatori. Cuce preciso, con far da sarto, l’abito invincibile del viandante nella valle delle infinite possibilità: osserva disinvolto il nervoso andare della viaggiatrice confusa. Le consegna certezze mai avute prima: o almeno, ci prova. Non deve essere semplice scendere a patti con chi fa spola tra ragione e sensazioni, senza mai ascoltarsi. Amico fedele, la avvolge di fitto velo riflessivo, offrendole il luogo di confronto perfetto tra tutti. Lo spazio illimitato del dialogo con se stessi. Tinge di bianco la pelle chiara di chi riflette i pensieri del mondo circostante: gioco di luci e ombre scandito dal passo ritmato, ed elegante, del cammino sempre nervoso e sempre nuovo alla ricerca di appigli, tinto di un non so che di ipnotico. Un “mal di testa”, insomma.

Confonde e sbiadisce: illumina e guarisce. Prosegue, la viaggiatrice confusa, mentre un nuovo giorno nebbioso le riporta alla memoria immagini di un tempo che sembra parlare una lingua sconosciuta: quel ponte, sospeso tra passato e futuro, che ritorna presente, puntuale, con il crollo delle certezze. Sistema gli occhiali, non è ancora finita. Il giorno nebbioso le ricorda che non c’è niente di più prezioso dell’istante hic et nunc nella progettazione del domani: che gli spazi illimitati esistono per essere esplorati. Che il sentiero porta sempre in dote una possibilità di rivalsa: che ogni mal di testa è il frutto del litigio tra pensieri. Il silenzio è il suo lascito, in un mezzo sorriso che racconta le sconfitte del vorrei, ma non posso. L’oggi racconta un’altra storia. Osserva l’orizzonte fitto, rivestita dalla nebbia. Ci vede dentro un motivo per andare avanti. Si presenta: il suo nome è Speranza.


martedì 11 febbraio 2020

Parresia, Vol. 3: Bisogni indescrivibili

Abbiamo tutti bisogno di appigli, nell’irreversibile scissione della coscienza. Pratiche disumane che portano al transumanesimo via psiche. Appigli come pattini verso l’oblio. Lontani dalla gaia scienza. Vicini all’autodistruzione. Questo siamo, nelle pagine più cupe delle nostre vite: lame infinite nel vortice delle emozioni.

Abbiamo tutti bisogno di luci, nel buio della notte che vede dormire la nostra coscienza. Lumi disincantati che guardano al tempo che fu, senza consegnar troppa confidenza al richiedente. Non sia mai. Il silenzio deve molto alla pazienza, la pazienza deve molto alla sua controparte: l’impazienza, a sua volta, deve molto al silenzio, nel circolo vizioso dell’ipocrisia. Mentiamo a noi stessi prima ancora che al prossimo, nel teatro delle maschere di carta riciclata dai sogni degli altri. Perché sì, i nostri sogni sono sempre stati i sogni di qualcun altro. Senza appello, né smentita. 

Abbiamo tutti bisogno di un’identità, nel miscelarsi delle stagioni dell’anima. Di una direzione nell’oceano privo di coordinate spazio-temporali della società della fretta. Siamo gattini ciechi figli di gatte frettolose. Macchine imperfette programmate con software privi di aggiornamento. Obsoleti dalla nascita: barche senza vele ingannate dalle onde gentili, illuse del bacio alla riva che se esiste, esiste per pochi.

Abbiamo tutti bisogno di dormire. Di mangiare e di bere dal fiume della speranza alimentato da fonti non rinnovabili. La vita che ci rimane e le sue mille facce. Di carta, di plastica e di ferro. Siamo la concretezza che non ci appartiene e che non ci è mai appartenuta. Siamo la finta modifica del destino. Siamo.

Abbiamo tutti bisogno di qualcosa.

Di cosa ho bisogno io? Di cosa hai bisogno tu?