sabato 31 dicembre 2022

Parresia 2.0, Vol. 8: La fine del viaggio

Alla fine del viaggio posso dire di aver compreso pienamente quello che il destino ha riservato per me, nell'anno più difficile da quando ho memoria. Non ho mai apprezzato il dono della vita come adesso, neanche quando, felice, pensavo di non potermi più sorprendere: che il resto della mia esistenza potesse essere gestito con la stessa autonomia di un sistema predefinito, pur in positivo. Ero felice, ma incosciente.

Inconsapevole del fatto che di lì a poco la fonte delle mie gioie si sarebbe trasformata in brutale carnefice: pura apparenza. Ho ripagato il debito con il karma: questo devo ammetterlo. Quel che ho fatto prima del disastro, ho provato a spiegarlo al tribunale delle cattive intenzioni, è stato solo uno sprazzo di follia: un momento di perdizione. Di smarrimento: non l'ha mai saputo. Forse sì, forse le è stato riferito: non importa più. Non è solo successo, è anche passato: conta che io abbia ripagato il mio debito col karma. Giusto così.

Sorrido, comunque, per quel che sono riuscito ad apprendere, di me e del mondo circostante. Per quel che sono riuscito a superare, con nuove consapevolezze: la vita si rinnova. Io mi rinnovo: respiro, profondamente. Un altro viaggio pretende il suo inizio, reclama attenzioni, pretende fiducia: in fondo, perché non dargliela?




martedì 4 ottobre 2022

Parresia 2.0, Vol. 7: Meta-Vita

Ho oltrepassato da parecchio la soglia della mia immaginazione visibile: adesso è Meta-Vita, quella che si palesa ai miei occhi ovattati dal peso insostenibile del cuscino doppio, inutilmente stropicciati mentre prendono coscienza, o almeno ci provano, dell'articolato meccanismo che trasforma il caffè in polvere in una poltiglia torbida, migliorata da quintali di zucchero.

Lei se n'è andata. E' questo l'appunto ricorrente che la mia testa ricorda quasi fosse un mantra: non l'hai persa. Se n'è semplicemente andata. Ha deciso così: un giorno, forse settimane prima, ha rimesso insieme i cocci della sua volontà, li ha raccolti e se n'è andata. E figurati: è un bene, se ci pensi, non dover sopportare il macigno della vergogna per una fuga senz'anima né onore che no, proprio non ti riguarda più. E' il fastidio, semmai, a pesare: il caffè, comunque, è salito. Chissà come ci riesce.

Dalla doccia in poi ciò che mi circonda riesce ad assumere i caratteri propri dell'inaspettato: tutto ciò che accade è crudelmente imprevedibile, e questa nuova consapevolezza non fa altro che rinnovare la sorpresa, naturalmente alimentata dal trasferimento improvviso, ma non per questo non ponderato, in una città lontana anni luce dalla mia idea di futuro-passato. E non passato-futuro.

Non sono più la persona che pensavo di poter essere e diventare: i miei stessi progetti hanno superato i limiti stabiliti da anni trascorsi a disegnare scenari fittizi e strade impraticabili, preferendone altre accomodanti. Adesso è Meta-Vita. "Oltre-Vita": quella che avrei immaginato. Sto vivendo. Sto vivendo?

 




mercoledì 4 maggio 2022

Parresia 2.0, Vol. 6: A Me, da Me, per Me

Nulla può più cogliermi alla sprovvista, ormai. Tutto ciò che non mi sarei mai aspettato potesse accadere è accaduto, seguendo pedissequamente i principi di una Legge di Murphy misurata sulla mia pelle. Taglia perfetta da indossare al gran galà della mia trasformazione, della mia evoluzione. La città è persa, il battaglione sconfitto, le strade cadute. I ponti crollati. Bei tempi andati, cosa fare di voi ora che siete solo polvere di stelle?

Mi taccio, perché a furia di essere ignorato dal vento contrario è terminata la voce della rivoluzione che contrasta l'implacabile e prorompente forza del cambiamento. Anima e corpo, senza distinzione. Non è forse questo il senso ultimo del mutamento? Non è forse ciò che provano i bruchi quando, pur di non soffrire, resistono all'inevitabile destino che si compie, rendendoli farfalle? Librate nel cielo di primavera, inconsapevoli della bellezza.

"Spero che un giorno ne sarà valsa davvero la pena", è stato il mio ultimo messaggio. Ho rassicurato me stesso, poi tutto il resto. Non ne ha mai avuto bisogno, come ampiamente dimostrato dalla sua plateale sparizione: mancò la fortuna, ma questa volta anche il valore. Io sì, però. Bruco incosciente. Verme solitario.

Sulle mura della mia quiescenza ho inciso i versi della rivoluzione: "A Me, da Me, per Me". Lo devo. Alle notti insonni e ai pasti evitati. Alle paranoie e ai cattivi pensieri: ai salti nel vuoto scansati. Alla fine scritta con mano tremolante e alla farfalla che un giorno, sembra presto, diventerò: lasciando scie di tempi andati, ormai polvere di stelle.


sabato 23 aprile 2022

Parresia 2.0, Vol. 5: Amore e Morte

L'ultimo ricordo personale di mia nonna, recentemente scomparsa, è l'immagine di un mazzo di fiori posto in maniera geometrica e scientifica sopra la sua bara, all'interno della camera mortuaria. Una stazione di servizio per defunti, nulla più. Forse una sala d'attesa: il loro personalissimo Purgatorio, non necessario, se non burocraticamente. Alla tumulazione ho preferito non esserci: se c'è uno spazio inaccessibile alla formalità, riguarda senza alcun tipo di dubbio la celebrazione di una morte. Non c'è giusto o sbagliato: te la senti o non te la senti. Bianco o nero.

Ad andarsene per prima è stata la persona che più tra tutte ha preferito la via del silenzio, nella sua vita: lontana dagli eccessi, per molti versi "liscia" come le penne che amava cucinare. La sua "unpopular opinion": in estrema sintesi, una di quelle cose/persone/entità che adorava e che irrimediabilmente la distinguevano dagli altri, definendola come identità. Tutte, comunque, ben al di sotto di mio nonno. Suo marito. Il suo ex marito. A detta sua il "disgraziato" che l'aveva abbandonata: mentiva.

In primis perché, probabilmente, sapeva benissimo di aver fornito necessari motivi per indurre mio nonno in tentazione. Al di là di tutto. Poi perché no, non lo ha mai dimenticato. A dir la verità non ricordo una singola discussione, un singolo pasto, un singolo giorno in cui mia nonna, presente, abbia preso la parola senza riferirsi con amarezza a mio nonno. O al ricordo della loro vita insieme.

Quando sono nato si erano già separati, o comunque stavano per farlo: per anni non si sono mai parlati, in mia presenza. Recentemente, probabilmente a causa dell'età, hanno stipulato una sorta di "patto di non belligeranza" che prevedeva la possibilità di coesistere nello stesso spazio per questa o l'altra ricorrenza senza alterare l'ecosistema circostante. Spettacolare. Il silenzio reciproco, mascherato da un imbarazzante rispetto, diceva tutto. Si erano amati, è sempre stato evidente. Forse è anche per questo motivo che il primo a crollare emotivamente, alla notizia della sua morte, è stato proprio mio nonno. Colpito nel profondo, persino impaurito.

Se n'è andata come avrebbe voluto, simbolicamente. A pochi passi dall'ingresso della camera mortuaria, pochi familiari a contemplare la scarna visione della bara con un mazzo di fiori casualmente e inconsapevolmente scelto tra i tanti dal servizio di pompe funebri. Messaggeri del caso. Per uno scherzo del destino, il mazzo di mio nonno. Il "disgraziato". Lo ha inseguito per tutta la vita, amato fino alla morte. L'ultimo regalo che il fato ha scelto per lei è quello di suo marito: Amore e Morte. Avrebbe voluto rifiutarlo per non ammettere di non aver mai desiderato altro. 
 
Questa l'ultima immagine che avrò sempre di mia nonna. Una bara decorata da una composizione semplice arricchita da una scritta altrettanto diretta, scelta da mio nonno per il nastro chiamato a raccogliere i fiori: "PAX". Pace. Finalmente sono riusciti a dirselo.
 




lunedì 4 aprile 2022

Parresia 2.0, Vol. 4: Macerie (stellari)

Non lo sapete, sicuro. Alle 18 di ogni giorno uno dei più accreditati siti italiani sulle letture astrali pubblica "L'Oroscopo di Domani". A tal proposito tiro fuori il punto di vista di un conoscente che, con una birra in mano, provò a farmi notare che le previsioni degli astrologi sono piene zeppe di luoghi comuni o "mezze frasi", adattabili a ciascuna situazione. Nel mio caso non è così: forse è anche per questo motivo che di quel sito lì sono diventato ormai un assiduo (e appassionato) lettore. Sì: schiavo dell'Oroscopo e di Paolino Fox, alla ricerca della salvezza.

Mica ci credevo, io. Forte di anni trascorsi a fregarmene della superstizione, illuso di aver trovato il mio posto nel mondo. Macché. La realtà mi ha sputato in faccia la drammatica consapevolezza di essere al centro del cinico gioco di qualcun altro: non conto nulla, a partire da "ieri". E non posso farci niente: anzi, razionalmente conscio di essere nel giusto, devo rassegnarmi all'idea che chi ha tenuto le redini della mia anima abbia deciso, ahimé, di indirizzare i propri interessi altrove, senza logiche né dichiarate spiegazioni. Fine della corsa. Un giorno c'ero, l'altro ero solo un nome. Parte delle macerie. Ignorato.

Per rendere chiaro il concetto: mentre scrivo queste righe (con malcelato risentimento) mi ritrovo ad aggiornare spasmodicamente il canale YouTube della Rai in attesa della nuova clip di Paolino intento a stilare la classifica dei segni. Perché? Perché ha avuto ragione, in primis. Ha azzeccato tutto: ultimi istanti di vita, morte e funerale di una delle esperienze più formative a me note. Ciò, comunque, non è bastato a evitare la fine, già decisa per tempo e inutilmente aggravata dalla dilazione.

Poi perché in fin dei conti l'unica cosa rimastami, dopo innumerevoli e inutili tentativi di reazione, è la speranza che un giorno possa abbandonare il vortice di negatività che ha buttato giù il castello faticosamente costruito negli anni, adesso null'altro che un cumulo di macerie. Che il tempo possa ripagare i giorni trascorsi a chiedemi "Perché?", offrendomi nuove possibilità di redenzione slegate dalle ambizioni e dalle aspettative (vitali e sentimentali) altrui. O semplicemente che il mio segno venga messo, dopo tanti mesi, in cima alla classifica. E, signori: è successo davvero.

 



lunedì 14 marzo 2022

Parresia 2.0, Vol. 3: Pensiero acritico

L'ultimo ricordo conscio di tutto ciò che è accaduto prima che mi risvegliassi dall'ennesimo sonno profondamente disturbato dai toni grigi è il volto di un'anziana che, dopo aver afferrato il mio braccio, ha sussurrato con saccenza profetica tre parole distinte. "Più-a-fondo". Ridendo.

Sono sopravvissuto, questo so. Posso ammettere di aver affrontato lo tsunami con la stessa goffaggine di un marinaio alticcio e consapevolmente prossimo alla dipartita, eppure ce l'ho fatta. Non so come, ma sono qui, ancora. Forse è anche per questo motivo che con ossa e muscoli intrisi di nervosismo mi sono sentito in dovere di ringraziare quel poco che è rimasto della mia identità con un viaggio apparentemente di sola andata verso l'ignoto. 

Così, svestito del solito abito tirato a lucido che mi consente di passare indenne la notte, mi sono riscoperto un novello Forrest in preda a un'euforica e isterica voglia di correre senza una meta. Tuta, maglia termica, scarpe. Esco un attimo e ci ripenso: rientro, metto anche una felpa. Piove, ma si parte. Le gambe mi hanno restituito la speranza dei giorni migliori e briciole di normalità, mettendo da parte l'atrofizzante delusione che da mesi ha condizionato il mio umore.

Dovevate vedermi, in preda a una crisi, sotto la pioggia, squadrare gli automobilisti in fila per il pieno. Ma, in fondo, chi sono io per giudicare? Un pazzo zuppo al secondo di indefiniti chilometri: o, almeno, questo dice l'orologio supertecnologico che ha scandito le parti meno interessanti della mia avventura. In ordine sparso: diverse migliaia di calorie bruciate, un passo medio di otto chilometri orari, una frequenza cardiaca media di centosessantadue battiti. Che è già una notizia: sì, insomma, batte. Sono vivo.

Per certi versi deve averlo pensato anche chi, dall'auto ferma in sosta a mirare il panorama, si sarà posto più di una domanda sul mio equilibrio mentale alla vista di una sagoma intenta a fumare una sigaretta sotto il diluvio e a ridere di gusto. Se questa è la fine, ho pensato, che sia indolore, senza giudizio, ma con pensiero acritico. Per una volta ho avuto ragione io.

 



martedì 1 marzo 2022

Parresia 2.0, Vol. 2: Riluttanza

E' con profonda riluttanza che annuncio la vergognosa dipartita delle mie emozioni positive, carbonizzate dal buonsenso, ingenuamente e involontariamente ereditato dall'egocentrismo che mi ha sempre contraddistinto. Amen.

L'ultima preghiera che ho rivolto loro è stata la sintesi di piccoli rivoli ben distinti, nel flusso di coscienza che ha accompagnato l'ultima epifania: non conto nulla. Non contiamo nulla. Forse qualcuno conta più di altri, ma io no: ecco. Che poi, in fin dei conti, anche questo è frutto di un certo egocentrismo che no, non vuole proprio abbandonarmi. Stoico com'è, mi accompagnerà fino alla fine dei miei giorni.

Ultimamente ho realizzato di essere stato anche possibilista: il che stride con il pensiero che ho sempre creduto di portare avanti. "Sii pessimista, al massimo le cose non potranno che sorprenderti positivamente", mi son spesso detto: ho corretto il tiro, senza neanche accorgermene. "Mal che vada, succede qualcosa: è pur sempre una possibilità". Affidandomi al caso, certe volte potrei raccontare di aver trionfato, lasciando dietro di me una scia di boria e orgoglio. Altre ho perso.

Di certo non mi aspettavo un tale risultato: un pareggio a reti bianche. Uno scialbo pari. Meh. Preferirei perdere novantanove volte su cento, ma pareggiare no: non sa di nulla. Nessun processo alle intenzioni, nessuna assunzione di responsabilità, nessuna soddisfazione: solo dubbi, retropensieri e sterili analisi. Un silenzio stampa, insomma. Inaccettabile.

Qualcuno troverà persino il coraggio di dirmi, un giorno (forse), che si è trattato solamente di una pura coincidenza di fattori: il campo zuppo di lacrime, la scarsa condizione fisica dei giocatori, il falso rimbalzo del pallone. Gli impegni ravvicinati in calendario, quest'ultimo stilato, ovviamente, dalla Lega organizzatrice del torneo. Il pari non è colpa di nessuno: semplicemente capita. Sta lì, in mezzo a una stagione, tutt'al più "muove la classifica", ma no: continua a non sapere di nulla.

Sia chiaro, sono stato deluso tante volte, ma l'ultima è sempre la più dura: ed è la causa di un certo stato d'animo riluttante, almeno quanto la sensazione provata di fronte alla dipartita delle mie emozioni positive. Se sono stato possibilista, ho sbagliato: meglio essere pessimista. Fuggite da chi preferisce il pari senza spiegazioni, da chi sceglie la via di un'indifferente e vergognosa ritirata. Perdete, piuttosto: sarete vivi. Sarete sinceri. Sarete umani, almeno.


venerdì 18 febbraio 2022

Parresia 2.0, Vol. 1: Evadere

Me ne vado. Anche se sempre men evado. Alla fine, però, me, n'evado mica. Ho trascorso così tante sere a domandarmi quale fosse la ragione, anche solo la più logica, che mi ha costretto a mollar tutto e andar via che mentalizzato a vedermi lontano mi son sentito talmente distante da me stesso che, in fin dei conti, quella di restare mi è parsa un'idea rivoluzionaria. Eppure sì, me ne vado.

Questo mondo non mi appartiene più, finito tra i vecchi scontrini e le garanzie mai esercitate. Sempre più rosato, ma dal sapore scialbo. Me ne vado innanzitutto perché non vale più la pena né il mio corpo sembra aver più la forza di affrontare l'ennesima deludente stagione delle promesse non mantenute. Perché di primavere, dalla mia stanza, ne ho già viste fin troppe: nascere, morire, nel profumo dell'ennesima estate che non sarebbe mai stata mia. Poi me ne vado perché ad esaurirsi non sono state solo le mie più lucide proiezioni relazionali e lavorative, quanto la lista di canzoni malinconiche che Spotify seleziona tracciando i miei gusti. Sono sempre stato un tipo da Earth, Wind and Fire, ma non posso escludere una certa vena masochistica.

Me ne vado per non rendere vani i sacrifici degli ultimi dieci anni trascorsi a costruirmi e ricostuirmi sotto i colpi dei bombardamenti nemici, con qualche sporadico intervento degli alleati. Anche loro, però, del tutto ininfluenti, vittime dell'indifferenza e dell'assuefazione di un mondo votato al prodotto e non al percorso. Si fa quel che si può, vorrei dire loro: se non son stato perfetto, almeno ci ho provato.

Infine me ne vado per la fulgida illusione, pure un presentimento, che oltrepassato il guado ci sia un orizzonte diverso da mirare con più soddisfazione. Che le repressioni vissute con angoscia siano solo la scia nel cielo di nubi che inutilmente provano a rincorrere il sole. Che possa ritrovare la spiritualità che ho perso e, perché no, recuperare i "vaffanculo" che inutilmente ho speso, indebitandomi con il mio tempo libero. Quello no, so già di non poterlo recuperare. Anche per questo me ne vado. Anche se sempre men evado. Alla fine, n'evado mica. Anche perché dov'è che vado?