lunedì 27 gennaio 2014

Shoah: quel passato che è ancora presente

Oggi fa freddo, è inverno. Accesi i riscaldamenti abbiamo abbandonato il nostro letto per fare colazione, la TV accesa, come l'auto per andare a lavorare. L'ipocrisia non paga: nessuno stamattina si è svegliato ricordando l'olocausto. Al massimo ce l'avrà ricordato il telegiornale.. o i social con una frase a caso di Primo Levi "spiaccicata" in bacheca per raccogliere i consensi dei followers: non si ricorda "tanto per", si ricorda per non commettere lo stesso errore "in futuro". E così, mentre il mondo piange lacrime di coccodrillo per ricordare una strage che nessuno ha mai avuto il coraggio di fermare, in Siria il passato ritorna presente. Cambiano gli interpreti, cambiano le vittime, cambia lo scenario. Auschwitz diventa allora immagine da copertina, da "prima pagina", la celebre frase "Arbeit macht frei" ("Il lavoro rende liberi") diventa icona della strage. "La giornata della memoria" fa rumore, quando invece dovrebbe far silenzio. Si parla troppo, si specula troppo. I TG ricordano con clip, interviste. Le foto sui giornali. Loro, chi deve essere ricordato, non sono morti per ritrovarsi su un libro con una didascalia sotto. Loro non hanno bisogno di spiegazioni o di racconti: è la strage che parla da sé facendo silenzio. E' questa la memoria, il silenzio di un pensiero, non i proclami alla radio. Le Nazioni non si scompongono più di tanto, a loro, a noi, non importa veramente: siamo ipocriti. E siamo deboli. Si fanno concorsi a tema, si vincono premi. Sembra quasi che tutti abbiamo scordato ciò che dobbiamo ricordare. Così, noi del "futuro" celebriamo una giornata del "passato" senza guardare al nostro "presente", ciò che è alla nostra portata. Ogni giorno, in Siria, si compie un massacro. I bambini muoiono sotto le bombe, le donne che li proteggono prima di essi. Sono costretti a fuggire dalle loro case, dalla loro Terra, "deportati" dalle loro menti, chiuse come la guerra interna. E noi? A guardare "Il boss delle torte", mentre loro vengono massacrati. La chiamano "la strage silenziosa" perché nessuno fa rumore, nessuno ne parla. Eppure, siamo tutti a piangere oggi, per il passato. Pensiamoci, smettiamola di bagnare le nostre maglie con le lacrime finte di chi a casa trova il polpettone: denunciamo. Loro, chi viene ricordato oggi, sono morti per questo: "la memoria" serve a cambiare il futuro, loro sono morti per cambiare la storia. Il mondo è già stato in silenzio una prima volta, fingeva di non sapere. Oggi ci riteniamo "più evoluti" di allora, e forse è per questo che nessuno ferma "l'olocausto" Siriano: il peso della vergogna è troppo grande, adesso noi siamo i carnefici, ricordiamolo in futuro.   


martedì 21 gennaio 2014

La terra dei cachi

E l'Italia è questa qua. Si, insomma, è questa: la terra dei cachi. Elio ci aveva visto bene..era il 96, gli anni novanta, quel "peggio" della frase "si stava meglio quando si stava peggio". Ma quando si stava peggio? Peggio di..quando? E' una continua applicazione della legge di Murphy all'infinito: può sempre andare peggio. Sorrido, e sono felice. Perché? Perché fa ridere. E quando si ride, si è sempre felici. Avete mai visto un tizio ridere perché triste? Finiamola: "la risata di tristezza" non esiste. Un po' come la crisi. Si insomma quella storiella che raccontano ai bambini per giustificare il mancato acquisto di un giocattolo. Oppure quella che raccontano i politici quando vogliono "in prestito" i 5€ per il gelato: "c'è la crisi, pagate più tasse perché dobbiamo saldare il debito pubblico che abbiamo fatto con il gelataio l'altro giorno". Ma, alla fine, com'era il gelato? Eh sappiamo che poi a noi tocca il cono...era buono almeno? Che terra dei cachi quella in cui viviamo! Sembra una continua riunione di condominio. Silvio, il rumoroso. I suoi festini? I migliori. Disturba la quiete dello stabile, un inguaribile dongiovanni. L'altro? Matteo, il tranquillo. Lo chiamavano "il nuovo che avanza", è giovane e pareva infastidito da tutto questo disordine. Adesso migliori amici, dividono il palazzo: compagni inseparabili di merende. Avete ragione, i cachi. "Una pizza in compagnia, una pizza da solo, un totale di due pizze e l'Italia è questa qua", non ci manca nulla. Passiamo più tempo a far conti che a pensare a cosa vogliamo: il tempo di controllare il portafogli e non abbiamo più fame. Nessuno ci rimborsa "le pizze", siamo noi a doverle pagare ai nostri superiori. "Perché c'è crisi", e in giro non ci sono "i macchinoni", nessuno compra smartphone di ultima generazione e sempre per questo discorso nessuno viaggia. Immagino la desolazione sugli aerei, le hostess che si annoiano e giocano a pallavolo a bordo. "I ristoranti sono vuoti", diceva qualcuno. E' la terra delle truffe, ovvero dei "cachi marci". Quelli che ti vende il fruttivendolo "spacciandoteli" per buoni. "Sono solo un po' maturi!" E io pago. Cioè, io no. Chi per me, e non è bello. Ma a chi vuoi che interessi? Il politico non mangia cachi, mangia da Cracco e Barbieri. Siamo tutti "giudici" adesso. Dilusi, molto dilusi. "Mi stai diludendo, questi cachi fanno schifo!" Pensate che riusciamo a sentire le numerose sfumature di un panino al formaggio, ma al momento di votare ci confondiamo: sembrano tutti uguali. E' una sorta di Masterchef in politica...Masterscem. I giudici siamo noi: l'ho detto che siamo la terra dei cachi! Scusate, i cachi. Siamo noi i cachi, chi marcio e chi maturo. Veniamo ogni giorno venduti al mercato della frutta da chi sta sopra di noi, in attesa di essere mangiati. Ma d'altronde, da abitanti "cachi", le terra non può che essere... 


giovedì 16 gennaio 2014

La solitudine dei numeri primi

Tre vittorie, 13 punti in classifica in campionato. 11, un numero primo, come Leto. Oggi, per un istante, il Massimino aveva ritrovato il sorriso. Per un secondo, appunto. La partita persa contro il Siena per 1-4, valido per gli ottavi di finale di Tim Cup, è lo specchio nonché la perfetta definizione di questa prima parte di stagione: disastro. Vorrei iniziare dalla fine: il pubblico del Massimino applaude, in campo rimane una sola squadra a salutare e ringraziare tutti. L'atmosfera perfetta è rivolta agli "eroi" del Siena, squadra di Serie B in visita oggi a Catania per una pura formalità: "la partitella" di turno (di solito, ogni squadra di Serie B ne ha una a stagione, quella che si dà per "persa", quella che giochi perché "la si deve giocare" ecc), in Coppa Italia, col campionato fermo da due settimane. Il "capo branco", Michele Paolucci, l'ex, uscito qualche minuto prima tra gli applausi. "A Catania un pezzo della mia storia", indica il cuore ai tifosi: il pubblico apprezza. In campo, invece, solo confusione e, tra il panico generale (giocatori "impazziti" a correre per il terreno), la figura di un uomo, solo, sconsolato. Il triste (più che mai), mister De Canio, bersaglio dei cori dei tifosi, degli insulti. La figura della "maestrina" che non riesce a trattenere i propri alunni mentre scorazzano per la classe è più che mai azzeccata oggi. "Il campionato è un'altra cosa!" Ma il problema non è lui, la persona intendo. Così calmo, indifferente a qualsiasi provocazione: lui ha la grande sfortuna di essere nato nell'epoca sbagliata. Il catenaccio, sostituito dal calcio veloce e offensivo del "tiki-taka" ossessivo, è fuori moda, un po' come la tuta con l'impermeabile della società indossata dal tecnico. Ma non sfigura mica eh con quel suo capello brizzolato! Ma la gente è stanca, più rossa che azzurra tanta la rabbia, incontenibile quasi ai gol "bianconeri" di oggi. E pensare che questo bel pomeriggio d'inverno era iniziato con lo splendido gol di Leto.. "Dai che vediamo una goleada!" E quando Maxi supera in dribbling Matheu? Alla faccia! Il 12 gli dona, sublime il suo scatto, meraviglioso l'assist, un po' meno la cresta. Ahi Wanda Wanda...Ahi Ciro Ciro! "Scendi Ciro!", ma non dalle scale eh, fatti aiutare! Scendi che ci serve il quarto a scopone! Catania "Rinaudo" al quarto minuto (curioso come l'unico a "dare l'anima" oggi sia stato un giocatore arrivato pochi giorni fa). Paolucci "l'eroe", Andujar "il protagonista". Meraviglioso sul primo gol, superbo (a volerlo imitare è impossibile) sul secondo, fenomenale sul terzo: un gesto d'alta scuola, difficilissimo per un portiere. Lasciar passare il pallone e non cercare di prenderlo è, per un portiere di medio/basso talento, una vera impresa. Al quarto gol si esibisce in una sorta di "tuffo da fermo" da 2 in pagella: la Cagnotto storce il muso, non partecipa alle olimpiadi (e forse neanche ai mondiali). La solitudine dei numeri primi, di chi oggi era allo stadio ad applaudire il Siena a fine partita. Dei giocatori, i "numeri primi" che corrono in solitudine per il campo: nessuno la passa, tirano tutti. Non egoisti ma "assetati" di gloria personale, vogliosi di quella fetta di torta "conservata in frigo" e che sta per andare a male, per godersene un po' prima di buttarla via. Il Catania sembra avere una scadenza adesso, somiglia ad uno yogurt al gusto "prugna e cereali" riposto nell'angolo dell'ultimo ripiano del frigorifero, in attesa di qualcuno che lo mangi o, più semplicemente, di essere retrocesso a "scaduto" ed essere gettato nel "purgatorio" del cestino. 

martedì 14 gennaio 2014

L'importanza di chiamarsi "Salvatore" in una terra di "diavoli"

Catania, bella città. Meta turistica, sempre "sveglia". Ma d'altronde, "la città non dorme mai", dice qualcuno. Al di là delle luci, al di là dei grandi centri, dei vestiti firmati, delle passeggiate in Via Etnea: un altro mondo. Due facce della stessa medaglia, così diverse da far paura a molti. Una, giovane. Bella, sorridente. L'altra, sporca. Catania è anche questo, smettiamo di nasconderci dietro falsi alibi. Catania da terzo mondo a volte, che sa essere metropoli e "favela". Sullo sfondo tanti bambini, la speranza, il futuro. Giocano, a modo loro, non hanno iphone, non hanno playstation: litigano. E i loro padri? Uccidono. La faccia più brutta della medaglia è quella che Catania offre ogni giorno. Via Etnea diventa un'autostrada, fantastica attrazione per i turisti, meta dello shopping. C'è anche lo "zoo", persone come bestie, anarchia: vere e proprie scimmie scorazzare a destra e a manca, litigando, provocando, strillando e rubando. Già, il denominatore comune. "C'è malura! (C'è povertà!)", io la chiamerei ignoranza. Viviamo in una città di ignoranti, smettiamo di cercare scuse. Una passeggiata in centro commerciale è quasi preferita ad una in Corso Sicilia pur di non imbattersi in tali individui. Stranieri? Si, ma "stranieri" dalla civiltà. Saltano i parcometri, la mafia dietro tutto. Si, mafia ragazzi, non abbiate paura di dirlo. Esiste ed è impossibile non rendersene conto. Parcheggi abusivi che fanno sentire la gente normale "abusiva". Non si è liberi di divertirsi, di esprimere le proprie idee. Catania non è una città, è un insieme di paesi distinti. Di "distretti", ad ogni distretto un capo, si sa come vanno queste cose..e poi le bande. E' la città che non dorme mai, della movida. Già, il sabato sera "movimentato": liti, scippi. "Non è sempre così!", va bene va bene! L'automobile parcheggiata, più alta e senza ruote. "Le avrò avvitate male l'ultima volta!" Un'occhiata, rude, e scoppia una lite. L'insulto alla donna amata? Omicidio per giusta causa. "A santuzza?" col coltello puntato pur di stare in prima fila. Le minacce, i cori allo stadio. Il calcio che diventa violenza. Le scritte sui muri, i venditori ambulanti. La gente che, fuori dai supermercati, ruba i carrelli colmi di spesa. E' povertà, ma di civiltà. A Catania non si vive, si sopravvive. Smettiamo di ignorarlo e di mentire. Una città in mano a chi "comanda", sorda, non ascolta le voci di chi vorrebbe cambiarla. Ci sono più centri di scommesse che monumenti. Piazza Stesicoro viene ricordata non per la sua storia ma per la presenza del Mc Donald's. La fiera, non è più fiera. Cinesi, ovunque. Reale trasposizione del film "Benvenuti al Sud". Ignoranza che va oltre l'analfabetismo, di quella gente che ha come modello di rispetto "il boss", di quella gente che gioca a fare "il mafioso" per sentirsi potente, di quella città rimasta indietro di un secolo. Noi siamo questo, siamo ignoranti. Ci fossero meno "Salvatore" e più "salvatori" forse (forse) si riuscirebbe a vivere invece che sopravvivere.



lunedì 6 gennaio 2014

Lodi, Lodi, Lodi!

Torna lui e cambia tutto. O meglio, tutto ritorna alla normalità. Tutti contenti, lui per primo: è tornato Ciccio Lodi, è tornato il Catania. Non c'è stato un tifoso che, presente allo stadio, salite le scale non abbia cercato con lo sguardo l'uomo in tuta blu impegnato nella fase di riscaldamento. Si rompe subito il ghiaccio, come fosse il "primo appuntamento": dagli spalti si ascolta un coro misto a tanta emozione. E così il saluto di chi torna a casa da un viaggio, come a voler dire "Sono tornato, mi siete mancati!". Quasi passano inosservati i nomi dei giocatori del Bologna annunciati dalla speaker. Il conto alla rovescia e poi il boato, la sorpresa di un abbraccio dei tifosi di un Massimino stracolmo: "Bentornato!". Il Catania gioca, finalmente, quasi come se il tempo non fosse mai passato: due scambi tra il centrocampo e l'attacco, "due parole" scambiate tra Bergessio e Plasil attraverso un pallone ed Alvarez che vuole inserirsi nella discussione. Il Catania è vivo. Le fasce, "queste sconosciute", il centrocampo prende forma, si gonfia e si sgonfia, si allarga e si stringe, blocca le azioni del Bologna, crea sull'esterno. Frison si annoia, ed è già un buon segno. Un film già visto, uno di quelli che non ti stanchi mai di guardare. Mancava solo il regista, in tutti i sensi. Calcio piazzato, punizione dalla trequarti. Se ne incarica Francesco Lodi. Un uomo solo in barriera, "siamo piazzati male!", dicono dalla tribuna. Il vuoto alla battuta, l'esplosione subito dopo. Tempesta d'emozioni, Bergessio insacca di testa e corre ad esultare sotto la "B", Lodi corre ad incitare i tifosi. Come una liberazione, "finalmente". Il Catania è in vantaggio come non capitava da (troppo) tempo. Il Bologna della ripresa è una squadra in formato "corsaro", con il coltello tra i denti. Il Catania è la solita vettura al diesel che, però, quando parte lo fa nel modo giusto. Punizione, trenta metri. Neanche a dirlo, il regista sospende "le riprese" e, quasi a voler girare un nuovo capitolo di Harry Potter, disegna la sua solita parabola "magica": palo. Il rammarico, vuole segnare, si vede. Il gioco del Catania è pura poesia: Plasil scambia ,alla "cieca" (o ceca nel suo caso), un filtrante con Pitu Barrientos che disegna un assist per Gino Peruzzi. Cross basso e braccio di Morleo in area di rigore: troppo evidente per non fischiarlo, troppo importante guadagnarlo. Siamo ad Hollywood, fotocamere pronte con il flash acceso, tutti a riprendere questo momento, tutti ad immortalare il regista che vuole lasciare "le impronte" come i grandi del cinema: 2-0. E' lui la star, è lui il protagonista di questo film e va sotto la curva quasi a chiedere ai suoi tifosi "quanto mi siete mancati!?". Il Catania cresce e diventa grande, non è più una sfida salvezza, è una passerella di grandi attori: Pitu becca il palo a tu per tu con Curci. Torna il gioco, torna il solito Gonzalo Bergessio: corre, lotta, fatica, si sbraccia, rischia di farsi male ma si confonde di fronte allo specchio della porta, quando tutto lo stadio era pronto a gridare al gol. Che gioia però, che magia! Troppo facile parlare di un Bologna inferiore, troppo facile dare tutti i meriti a Francesco Lodi. Ma forse proprio perché fin troppo facile che non bisogna smettere di credere. E' tornato il Catania gente.