martedì 13 dicembre 2016

Metafisica dell'impossibile

Oltre l’universo sensibile, perché quello attuale sta troppo stretto, come un abito cucito da un sarto senza metro: il destino delle milanesi in formato “rivali al titolo ambito” è un continuo rincorrersi di operazioni metafisiche e scenari da “vorrei, ma non posso”. Bello sarebbe, stupendo sembra anche solo il pensiero, da lontano, però: ché a guardarlo da vicino ci si scotta le mani. La fenomenologia delle parabole di Inter e Milan sta tutta lì: tra un caffè con Aristotele e una chiacchierata con Platone.
Simposio: e poi siesta, immediata. Sembra questo il leitmotiv, almeno da quando Mou prima e “Don Rafe’ ” Benitez poi, a poche settimane dall’esonero tra i più attesi negli ultimi decenni, videro alzare i “recenti” (si fa per dire) trofei intercontinentali di una città rosso-nero-azzurra. Da sempre. Ma Milano è lontana, che la si guardi dalla Cina o da Bergamo: non c’è quasi più la nebbia. Due filosofie diverse: da un lato la logica aristotelica di Montella, dall’altro le idee platoniche di De Pioler, sintesi perfetta tra l’olandese e il neotecnico, con il ciuffo, ancora in crescita, di Roberto Mancini. Roma, Catania, Firenze e Genova: poi fermata a Milanello. Vincenzo e “l’Organon”, strumento di ricerca nel sensibile per approdare “oltre la fisica”, appunto “meta”, “dopo” o “ciò che viene dopo”, in senso figurato. Arrivi con un anno di ritardo, ti siedi sulla poltrona della tua nuova scrivania e trovi i resti, quasi macerie, di una squadra “maltrattata” da innesti non adatti e non all’altezza del blasone tradizionale. Eppure inizi a lavorare in silenzio e tra le critiche di chi vorrebbe un Milan vincente e bello sin da subito: tu non ascolti. Sembra quasi abbia le cuffie alle orecchie, a volte: musica e cocciutaggine da “metodo sperimentale”. Dai la spinta, come un motore immobile dal quale partire, il “primo” dopo anni, e la tua macchina va. E’ una sinfonia già familiare: bel gioco, pur senza spettacolo. Lanci un giovane, Locatelli, consigli a Bacca di rinfrescarsi le idee al Sánchez-Pizjuán mentre ti godi Lapadula, e hai tra le mani la formazione meno anziana dal 1985: c’è chi critica ancora. Chi mormora brusii di un closing puntualmente rinviato: roba che non ti riguarda, se non passivamente. Deve essere proprio un peccato, però, non poter ambire al titolo per paura di guardarlo troppo e vederlo sfuggire via.

Alla Pinetina c’è Stefano, “compare” e rivale: l’Iperuranio lo ha spedito lì, il “normalizzatore” dopo il “rivoluzionario” De Boer. Non l’ha capito nessuno, l’olandese: forse la lingua, forse il poco tempo a disposizione. Ciò che accomuna Pioli (come gli altri) a Montella è proprio questo: una clessidra da “gioco da tavolo” che non ti permette di riflettere, ma solo di decidere in fretta. “Metto Perisic, tolgo Eder? Sposto Medel e avanzo Banega, ma se lo faccio, dove metto Joao Mario? Quasi seconda punta, sperando che Mauro aiuti Candreva”: proprio lui, pomo della discordia alla Lazio, mix di archetipi, bene e male, in un giocatore che ti ha aiutato, caro Stefano, quanto condannato. Lo ritrovi lì ad allenarsi: non è la tua squadra. Una formazione già al suo terzo tecnico stagionale (quarto se contiamo Vecchi) non può essere la tua squadra, certo che no. Provi Kondogbia nel derby, e le cose sembrano pure girare: Gary ti abbandona. Proprio ora che qualcuno lo aveva schierato in difesa… Quanta sfiga, lasciatelo dire. L’Europa League sfuma dopo un primo tempo perfetto in casa della tipica “imperfetta” di turno, e ti viene quasi voglia di ubriacarti a fine partita, per dimenticare, chiaro. La distanza dalla vetta si fa sentire, e anche per quest’anno si vince “prossimamente”. L’Inter è un’idea: platonica, come detto. La copia di un ente che esiste solo nell’Iperuranio, quella di Mou, le cui storie vengono raccontate in una caverna a uomini che non riescono a liberarsi dalla morsa delle catene della propria coscienza. E se dovessero riuscirci e a fuggire, come affronterebbero la realtà? Come il Milan, anche l’Inter: non guardando, o socchiudendo gli occhi per non fissare troppo qualcosa che poi svanisce. Diventa “meta”, diventa “physis”: va “oltre” la “fisica”, per adesso. O chissà: “solo”, per adesso.


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