venerdì 23 dicembre 2016

Essere Gabigol

Je suis Gabigol. Ti svegli, abbandoni le coperte e corri a preparare il caffè: che trovi? La macchinetta è accesa, ma devi aspettare che si riscaldi: guardi l’orologio in maniera snervante. Vai in bagno, lasci scorrere l’acqua fino a che diventi calda: tempo d’attesa stimato? Cinque minuti abbondanti. Stessa storia in auto, l’aria condizionata ha bisogno del motore attivo, e allora pensi che qualcosa non va. Forse stai diventando Gabigol. Sempre lì, con lo sguardo da cucciolo indifeso a convincere Pioli: “Mister, fammi entrare.” Macchè… Dura essere come lui!

Che poi, fosse solo questione di aspettare… Qui c’è in ballo tutta una filosofia di vita che ti trasporta e ti attraversa fino a farti crescere la barba e ad avere quell’espressione corrucciata che solo l’ultimo Adriano “imperatore” aveva. O, chissà, magari anche Ronaldo col cappellino in fuga per Madrid: anche lui non trasmetteva mica gioia. Quella saudade da “ma a me chi me l’ha fatto fa’?” che ti prende per mano e ti guida, tappa dopo tappa, nel percorso di maturazione che culmina nella definizione di “peso”. Avete presente non essere accettati? La sensazione di essere di troppo? Ecco, Gabriele Barbosa (italianizziamolo) la vive quotidianamente. Come quando riuscite a convincere i vostri amici ad andare al cinema a vedere quel film che tanto vi piace, ma che si rivela l’ennesima “corazzata kotiomkin” da sbadigli e sonno pieno. “Ragioniere, ha qualcosa da dire?”, forse sul montaggio analogico… Ma Gabigol non ci sta: che colpa può avere un ragazzo valutato oro e arrivato con il fardello di “prossimo Neymar del calcio mondiale”? Un crack, ma non nel senso sudamericano nel termine.

Frank De Boer non lo vedeva, e quella volta contro il Bologna non portò mica bene. A Reggio Emilia, Stefano Pioli lo ha schierato solo per far correre lungo la schiena di diversi fantacalciatori (o fantacalcisti?) il brivido dell’ammonizione rimediata dopo pochi istanti dal suo ingresso in campo. Poi il 3-0 con la Lazio e cinque minuti abbondanti: sembrava un cane rabbioso sguinzagliato al buffet di capodanno, Gabriele. Prende palla e salta Felipe Anderson, poi infiamma San Siro con due o tre giocate che: “Ronaldo, chi?”. E lo stadio diventa una bolgia: “Ole’ ” di qua, “Ole’ ” di là. E qualche sorrisetto di troppo, ma lui non se ne accorge e decide di sfoderare il colpo di grazia: rabona a servire il compagno e braccia tese ad incitare il pubblico. Triplice fischio e fine dello “show”: giusto per ricordare a tutti che Gabigol, a fine partita, è tornato Gabigol. L’oggetto misterioso di sempre, in attesa di un’altra occasione, altri tre minuti da vice, del vice, del vice di Candreva. Ultima scelta, ma primo giocatore ad essere presentato in pompa magna. Magna? Può darsi: speriamo di sì, perché, almeno per il momento, è proprio dura essere Gabriel Barbosa.



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