E’ quella teoria che pone
sullo stesso piano i cittadini del mondo, diversi per religione, classe
sociale, fede calcistica e ideologia politica: tutti, insieme, nella stessa
scatola. Un autobus.
Che poi ammettiamolo: molti,
almeno una volta nella vita, sono stati una sardina. Sì, di quelle in scatola, “unte
e bisunte”, e puzzolenti. O profumate? Buone di certo, e salate. Antipatiche, e
mal digerite. Ma lo spettacolo più grande si compie nella latta: insieme,
schiacciati, come loro. E capita che un viaggio in autobus si trasformi in una
traversata fino al piatto del consumatore, pronto a divorarci.
Cittadini tra i più
disparati: “Ou ‘mbare!”, è il top. “Bussola!”, la parola d’ordine. E gli
insofferenti: “C’è caldo, apriamo”, “c’è freddo, chiudiamo”, “è colpa di Bianco
(sindaco di Catania), dei politici, dei giornalisti”… e del buco dell’ozono.
Perché si sa: c’entra sempre, e un giorno lo dirà anche Salvini. Oh, Matteo: “Avi
ragiuni Salvini! (Trad. “Ha ragione Salvini” – la traduzione del termine “Salvini”
non era questa, potete immaginare… - ) Tutti a casa!”, ma chi? No, io no: devo
andare al lavoro e all’università. E lei? Pure. Quindi “tutti in centro”, che è
meglio.
L’iter inizia alle
prime ore del giorno, perché si sa: il pesce va pescato presto. “Si sta come
alle otto, su un autobus le sardine”, avrebbe scritto Ungaretti. E non è forse
un’immagine meravigliosa? Circa cento individui incastrati meglio dei blocchi
del Tetris, in balìa del proprio destino, e della guida dell’autista: pilota di
rally senza licenza. O con licenza… di uccidere. Perché un viaggio in autobus
può diventare una corsa sulle montagne russe: e lì si nota la qualità del
passeggero. Se sei bravo, rimani in equilibrio. Altrimenti… eh, altrimenti.
Sprofondi, nel bagno di
folla che c’è dietro te, che fermata dopo fermata è diventato un esercito,
rompendo la formazione perfetta delle sardine, che intanto hanno imparato a
comunicare tra loro: si parla di calcio, della crisi. La crisi. La crisi che
non esiste, i politici porci che “mangiano i soldi”: perché “non c’è lavoro”,
si sa. Ma accettare un impiego in un call center, o fare del volantinaggio no:
è umiliante. Quindi meglio fare la fame, piuttosto che guadagnare qualcosa.
Perché noi siamo “il top”, mica possiamo abbassarci a tanto!
Ma la realizzazione
della “teoria delle sardine” avviene alla fine del percorso, quando bisogna
abbandonare la “scatola”: fratelli, ormai. Compagni d’avventure sorridenti,
quasi simpatici. Ma dopo aver imparato a convivere, i passeggeri tornano al
proprio stato naturale: chi bancario, chi professore, chi mendicante e chi
studente. Tutti altezzosi, presi dalle proprie faccende quotidiane: sull’autobus
nascono amicizie, amori che verranno dimenticati una volta scesi. Perché poi si
torna alle proprie vite, alla propria ipocrisia, al proprio razzismo e ai
propri pregiudizi: dimenticando che, poco tempo prima, si era tutti uguali. Una
centinaia di sardine, puzzolente e insofferente, all’interno della stessa
brutta scatola.