venerdì 19 maggio 2017

“El Chico” si ritira: da Lanús al vulcano, “garra” e tecnica Ricchiuti

“El Chico” e “Papu y Los Vulcanos”: storie di un Catania argentino. Sangue “latino”, sorriso e “garra” infinita: quel “Gracias por tu futbol” scritto qualche anno fa dai suoi compagni sulla lavagna “dei saluti” e sulla storia di quei colori che, volente o nolente, definiscono pienamente l’uomo e il professionista Ricchiuti. Una linea continua che collega Lanús e l’Etna, prima di tornare alla “sua” Rimini: appende le scarpe al chiodo, Adrian, dopo aver disegnato ricordi ed emozioni indelebili.
Corsa frenetica e braccia aperte: tutti in piedi sul divano. L’espressione incredula in un pomeriggio d’aprile alla Scala del Calcio dice tutto: lui, il più basso in campo. “La struttura alare di Ricchiuti, in relazione alla sua altezza, non è adatta ai gol di testa. Ma lui non lo sa, e segna lo stesso”: colpo “de carezza” e tango tutto argentino con Maxi Lopez che regala il 2-0 parziale contro il Milan. Una prestazione storica quella con l’Inter qualche mese prima: Mihajlovic lo schiera regista contro il centrocampo del “Triplete”. Cambiasso sembra un dilettante, Stankovic prende appunti: lui sfiora la rete, ma saranno applausi. Di ricordi catanesi, Adrian, ce ne sono tanti: si dice che al Watford Mazzarri provi schemi e contro-schemi per gli incubi causati dal 2-1, sempre di testa, subito dal suo Napoli al Massimino. Ma il sorriso, quello non si scorda mai: più dei fotogrammi, più delle prestazioni.
La disponibilità e il calore: “l’uomo” Ricchiuti, figlio “adottivo” del vulcano, che Catania chiamò a gran voce al momento della fine del contratto. Quanti rimpianti, quanto rammarico: il futuro lo vede in panchina. Con il sangue “caldo” che si ritrova sarà dura essere un suo giocatore: lui, d’altra parte, le idee chiare le ha sempre avute. Testa al campo, “pace, amore e gioia infinita”: quella “joya” che, in terra etnea, manca da tempo, ma che in città ricorderanno negli anni. Allora sì, “gracias por tu futbol”, Adrian.

martedì 9 maggio 2017

Auguri Davide: ci vorrebbero undici Baiocco contro la Juve Stabia...

Album delle figurine, stagione 2002/03: Catania a pagina 80, accanto al Cosenza, in Serie B. Erano i rossazzurri neo-promossi in cadetteria, dei cambi in panca, da Toshack a Guerini, passando per la coppia Graziani-Pellegrino ed Edy Reja, di Lulù Oliveira e di Gennaro Iezzo in porta. Appena quarantasette pagine indietro, alla numero 33 c’era lui: capello corto e sorriso “buono” a trasparire una certa tranquillità, in quel colletto alto della maglia bianconera indossata, “da bravo ragazzo”. Ecco: l’antitesi perfetta di Davide Baiocco, 42 anni ieri e 172 cm di sangue perugino ed emozioni per cuori forti.

Con tutto il rispetto, Davide: sappiamo quanto tu sia simpatico, e ci permettiamo di scherzare. Il vulcano ti chiamava, quasi ad evocare una perfetta simbiosi tra l’atleta che sei e la tua forte personalità da leader. Quando nel 2005 arrivò l’annuncio del trasferimento al Catania in città girava una sola domanda: “Ma Baiocco quello che giocava nella Juve?”, sì. Al Massimino, se si fa attenzione, si sentono ancora il rumore dei contrasti, l’urlo finale della sfida salvezza con la Roma e i cori della stagione successiva, al 34′ di un pomeriggio pre-natalizio: rete ai giallorossi e pubblico in piedi ad applaudire. Quello che non ti ha mai abbandonato, Davide, così come tu non hai mai “lasciato” questa città. Ah, come ringhiavi tu sulle caviglie avversarie… Ma passiamo oltre. Ecco, nel giorno del tuo compleanno, vuoi per la fresca qualificazione ai Playoff del Catania, vuoi per la voglia di far voli pindarici rivolti ad un passato pieno di gioie ed emozioni, esclamiamo: “Ci vorrebbero proprio undici Baiocco contro la Juve Stabia!”. E sì, e ci riallacciamo anche al concetto espresso dall’Ad Lo Monaco: quei “capitani-non giocatori” di cui ha parlato settimane fa. Lo sappiamo, l’hai confidato ai nostri microfoni: “La stima si dimostra con le parole e con i fatti, fanno piacere, segno che si riconosce qualche qualità, però lasciamo stare”, ma il concetto rimane quello.

Ci vorrebbero quegli elementi che tirino fuori… il carattere giusto al momento giusto, che si facciano sentire prendendo per mano il gruppo. Che sbottino con l’arbitro quando necessario, che “rompano le scatole”. Ma, forse, non è un caso che tutto questo manchi, dato che tra i numeri indossati sulle maglie rossazzurre non c’è alcun 17. Ma si può certamente rimediare: YouTube può aiutare e servire da ispirazione. Intanto sono 42 candeline, e il resto è storia.



venerdì 5 maggio 2017

Pozzebon: adesso tocca a te

Si era presentato con il nome, Demiro: "Viene dal latino, significa ammirare", raccontava in conferenza. Aggettivato, "ammirevole": come le mirabilie di febbraio, delle partite con il Matera e con il Messina, con le mani spellate di una piazza che lo ha accolto a braccia aperte dopo averlo "ammirato", appunto, con la maglia giallorossa. Ma di quel Pozzebon, finora, solo sprazzi e lampi: e se Caserta, per il Catania, diventa un match chiave in ottica Playoff, per il puntero rossazzurro il discorso non è assai diverso.

In poche parole, Demiro: adesso tocca a te. Senza critiche becere, sempre se l'argomento tirato in ballo durante la conferenza di mister Pulvirenti ti riguardava davvero: anzi, partiamo proprio dal presupposto del tecnico dicendo che, se "produttivi", i giudizi aiutano a crescere. Anche se, poi, nessuno è giudice supremo quanto lo è il campo: lui non mente mai. Ti sbatti, corri, lotti per la squadra e i compagni, ma non segni: è dura essere un attaccante e non riuscire a gonfiare la rete neanche in quelle occasioni che di solito non sbagli. Lo comprendiamo. Ma, se vuoi, è anche la "croce" di un ruolo tra luci e ombre: come per il portiere, si passa dalle stelle alle stalle troppo in fretta, con due o tre partite ciccate. Ed è qui che si vede il carattere di un giocatore: reagisci o è un tunnel psicologico. Lo ha detto anche Pulvirenti: "Se ci sono occasioni, bisogna segnare". Gli ultimi novanta minuti sono una porta aperta sul destino di tutti: cosa riserverà il futuro? E' carta bianca per chi vuole scriverci sopra il proprio nome e la data, per poi metterci la firma con una dedica: "Io ci sono ancora". E' la possibilità giusta per il rilancio: ma, Demiro, dipende da te.

Come quella domanda che si ripete, "essere o non essere?", che ti riguarda: essere l'attaccante principe del Catania? Le sole due reti messe a segno finora non aiutano certo, come d'altronde le occasioni sbagliate con Monopoli e Siracusa, per non parlare di quella con la Paganese che poteva totalmente cambiare le sorti del resto della stagione, ma "Demiro", da "Miro", in latino non vuol dire solo ammirare: significa anche "sorprendersi". Che, se vogliamo, può anche stare per "riprendersi", e riprendere per mano quel reparto e quella piazza che ti aspetta dal 26 febbraio. Insomma: il futuro passa anche da qui, in attesa di risposte alla nostra "lettera aperta", magari sul campo.