mercoledì 23 dicembre 2015

La teoria del Natale (che odia il Natale)


Un Natale che odia il Natale. Come un cane che si morde la coda: ed è divertente, ha qualcosa di… festoso. Almeno quanto le case dei quartieri, o gli alberi abbelliti, o le orribili facce dei mariti a spasso con le mogli a comprare i regali. E menomale che non sono sposato: posso respirare, e spendo pure meno. Sorrido.

Bando alle ciance: la teoria del Natale parte quando parte il Natale. Non prima, né dopo: ovvero a Ferragosto. Che poi sembra pure una battuta qualunquista, ma non lo è: si pensa al periodo natalizio già dal viaggio di ritorno, in macchina, dopo la notte dei falò e delle tende: “Come passa il tempo: tra poco è Natale!”, sciocchezze. È lì che ha inizio la sagra degli orrori. L'inizio delle lezioni, il ponte dei morti dopo Halloween: tutto pensato al risparmio, in vista dei regali di fine dicembre: “Tanto poi devo spendere”, ma per cosa? Io spendo e basta. Ma con quali soldi?

Quelli che non si hanno: e sai che risate alle solite battutone! “Quest’anno va di moda il portafoglio vuoto! Sotto l'albero io ho il pavimento!”. AH-AH-AH, RISATONE! Grosse quanto le pance durante le feste: che c'è la crisi: “Sta crisi…”, mannaggia. Carrelloni pieni: "e la playstation, giuiuzza, non t'accattu?” (Trad. “Gioia che mi è stata donata dalla cicogna, la playstation non te la compro?), ma certo! Poi si pensa, ma mica vorrai rovinare il Natale a un povero bambino giudizioso e innocente, pieno come non mai con tutte quelle schifezze del Mc Donald's?! Ma non sia mai!

E le case: abbiate una dignità, per favore. Siate rispettosi nei confronti dell’umanità: evitate di mettere tutte quelle luci, che manca poco che atterrino gli aerei russi. E poi sai che casino con gli americani…! Alcune sembrano quasi carrozzoni dei panini. Altre sono proprio carrozzoni dei panini, ma fa niente. E che dire degli anziani? E delle iniziative benefiche? E dei politici? Loro c’entrano sempre, nel qualunquismo generale. Perché è colpa loro se non ci sono soldi. E se a Natale poi spendiamo i nostri risparmi in oggetti costosissimi senza ragione? No, quello è giusto. Ma i politici sono sempre ladri.

Ma dicevo, la teoria: ed è buffa. Perché dall'8 al 23 Dicembre tutti odiano il Natale. Facebook diventa il ritrovo dei Grinch che odiano santa claus e tutti e tre i re magi (clandestini, “A casa!”). Ma il 24 è festa: quant'è bello, l’atmosfera del cenone, i regali dei fidanzatini, i baci, gli abbracci, i messaggini. Ma dal 25 in poi il Natale non piace più. Tutto svanito. È chiaro. È un Natale che odia se stesso. E, d'altra parte, come dargli torto. Perché a Natale siamo tutti più buoni. Tranne me, che non sopporto nessuno. E adesso scusatemi ma vado a prepararmi per il 24: lì vi amerò tutti. Facciamo un selfie con l'albero alle spalle?



giovedì 19 novembre 2015

La teoria delle sardine

E’ quella teoria che pone sullo stesso piano i cittadini del mondo, diversi per religione, classe sociale, fede calcistica e ideologia politica: tutti, insieme, nella stessa scatola. Un autobus.

Che poi ammettiamolo: molti, almeno una volta nella vita, sono stati una sardina. Sì, di quelle in scatola, “unte e bisunte”, e puzzolenti. O profumate? Buone di certo, e salate. Antipatiche, e mal digerite. Ma lo spettacolo più grande si compie nella latta: insieme, schiacciati, come loro. E capita che un viaggio in autobus si trasformi in una traversata fino al piatto del consumatore, pronto a divorarci.

Cittadini tra i più disparati: “Ou ‘mbare!”, è il top. “Bussola!”, la parola d’ordine. E gli insofferenti: “C’è caldo, apriamo”, “c’è freddo, chiudiamo”, “è colpa di Bianco (sindaco di Catania), dei politici, dei giornalisti”… e del buco dell’ozono. Perché si sa: c’entra sempre, e un giorno lo dirà anche Salvini. Oh, Matteo: “Avi ragiuni Salvini! (Trad. “Ha ragione Salvini” – la traduzione del termine “Salvini” non era questa, potete immaginare… - ) Tutti a casa!”, ma chi? No, io no: devo andare al lavoro e all’università. E lei? Pure. Quindi “tutti in centro”, che è meglio.

L’iter inizia alle prime ore del giorno, perché si sa: il pesce va pescato presto. “Si sta come alle otto, su un autobus le sardine”, avrebbe scritto Ungaretti. E non è forse un’immagine meravigliosa? Circa cento individui incastrati meglio dei blocchi del Tetris, in balìa del proprio destino, e della guida dell’autista: pilota di rally senza licenza. O con licenza… di uccidere. Perché un viaggio in autobus può diventare una corsa sulle montagne russe: e lì si nota la qualità del passeggero. Se sei bravo, rimani in equilibrio. Altrimenti… eh, altrimenti.

Sprofondi, nel bagno di folla che c’è dietro te, che fermata dopo fermata è diventato un esercito, rompendo la formazione perfetta delle sardine, che intanto hanno imparato a comunicare tra loro: si parla di calcio, della crisi. La crisi. La crisi che non esiste, i politici porci che “mangiano i soldi”: perché “non c’è lavoro”, si sa. Ma accettare un impiego in un call center, o fare del volantinaggio no: è umiliante. Quindi meglio fare la fame, piuttosto che guadagnare qualcosa. Perché noi siamo “il top”, mica possiamo abbassarci a tanto!


Ma la realizzazione della “teoria delle sardine” avviene alla fine del percorso, quando bisogna abbandonare la “scatola”: fratelli, ormai. Compagni d’avventure sorridenti, quasi simpatici. Ma dopo aver imparato a convivere, i passeggeri tornano al proprio stato naturale: chi bancario, chi professore, chi mendicante e chi studente. Tutti altezzosi, presi dalle proprie faccende quotidiane: sull’autobus nascono amicizie, amori che verranno dimenticati una volta scesi. Perché poi si torna alle proprie vite, alla propria ipocrisia, al proprio razzismo e ai propri pregiudizi: dimenticando che, poco tempo prima, si era tutti uguali. Una centinaia di sardine, puzzolente e insofferente, all’interno della stessa brutta scatola.


giovedì 3 settembre 2015

Conoscenza



Ed è tanto, e ti dà tanto. Almeno quanto richiedi, almeno quanto speri di ottenere. Ed è irraggiungibile. Sfugge all’occhio e alla mente, e non è umana. Altrimenti non sarebbe tale, conoscenza. Sarebbe opinione, e quella è umana.

Il discorso, per quanto vano, può portare a conclusioni tra le più disparate. Ad esempio, si può parlare di “pseudo-conoscenza”, ovvero quella parte di sapienza di poco superiore alle opinioni, e maggiormente vicina alla “verità”, che è anch’essa inconoscibile del tutto. Pensate se si potesse sapere tutto di tutto. O di tutti. Che noia mortale, e che stress! Meglio non sapere, concorderete con me.

E se si tratta di politica, poi, verrebbero risolti i problemi di un intero Paese. Ma che dico, del mondo. Ed è qui che sta il punto: ognuno di noi deve conoscere il mondo. Ma quale mondo? Eh, troppo semplice dire “il nostro”. Più complesso dire “il mio”, “il tuo”. Quello personale, chiuso dentro lo scrigno della mente, e composto da opinioni, idee, concetti sempre mutevoli. Un microcosmo in continua evoluzione, dentro un macrocosmo che sì, quello sì, appartiene a tutti. Una visione personale del mondo esterno. Ma quanti la conoscono sul serio, o pienamente?

Nessuno: è questa la risposta. Ed è per questo motivo, probabilmente, che siamo infelici. Angosciati, alla continua ricerca dello “stato perfetto”, di un posto nel mondo esterno. Ma non abbiamo un tetto, né un letto dentro di noi: come possiamo pretendere di avere successo tra i nostri simili? No, il mio non vuole essere un discorso propagandistico e inflazionato, improntato sul “conosci te stesso, poi conosci il mondo”. No, che assurdità. Conosci te stesso, e del mondo fregatene. Forse, ma forse, è questo il punto.

Io non conosco me stesso. E mi sorprendo ogni giorno. Perché non mi conosco, e imparo sempre cose nuove dal mio comportamento. Mi ritenevo un tipo simpatico, ma da qualche tempo mi sto antipatico. Sono stressante, e fastidioso. E magari domani sarò pure divertente, e reagirò in modo diverso alla stessa notizia ricevuta oggi. E reagirò in modo altrettanto diverso alla stessa notizia, sulla notizia ricevuta adesso, di oggi. E di domani. Di ieri. Ma non conosco neanche i miei capelli, sempre diversi, sempre in disordine, mai come prima. Come dovrei conoscere anche voi? Conosco me stesso, e poi… poi si vede, insomma.

E non pensavo neanche di poter fare un palleggio acrobatico con un pallone, finché questo pomeriggio l’ho eseguito. Pensavo di non essere capace, ma quello era un altro me. Ecco, “un altro me”. Che tesi interessante! E se fossimo persone sempre nuove, cosa ci sarebbe ancora da dire? Mangiamo, beviamo, ci laviamo, andiamo a letto e… Zaaac! L’indomani siamo gente nuova, completamente. Fantascientifico, ma se ci pensate… Siamo umani. E siamo destinati ad evolverci. E a mettere in discussione le nostre stesse idee. E per certuni che non lo fanno… Beh, sono dispiaciuto.

Ma non è una tragedia, è solo un punto di vista. E il mio non è superiore al tuo, per carità. A patto che il tuo non sia superiore al mio, ed è impossibile. Come la conoscenza. Ah…la conoscenza! Quanto è bella, quanto è pura! Meta dei più grandi alpinisti, naufragata tra le mille promesse dei marinai. Riposta in un cassetto immaginario della nostra mente, chiuso da una chiave di cui non si conosce il proprietario. Ed è bene così.


giovedì 16 luglio 2015

Non amate e non odiate: vivete e basta




E’ un mondo folle, quello in cui viviamo. E non ci sono giri di parole. Folle, come le persone che lo popolano: variabili impazzite che seguono un ordine irrazionale, e che si scontrano. L’una contro l’altra. Generando odio. O amore? Qual è la differenza? E’ così difficile riconoscere l’uno senza l’altro, che quasi ci si confonde. E non si può odiare una persona, senza amarla, o amarla senza odiarla allo stesso tempo. E’ così, e non c’è rimedio.

Come non c’è rimedio alla follia che ci spinge a coprire con un velo spesso la verità: la soluzione ad ogni problema. Ce l’abbiamo sotto il naso e ci sfugge sempre, quasi impossibile da acciuffare. E ci disperiamo, diventiamo malati. Siamo tutti malati. Malati per qualsiasi cosa, malati d’odio e d’amore. Ma quando l’odio diventa amore, e quando l’amore diventa odio? Quando non corrisposto. Quand’è così, la vera natura dei due sentimenti esce fuori nella loro massima espressione.

E’ una tempesta, molto più dell’amore corrisposto: un oceano di emozioni, positive e negative che ci spinge ad amare e odiare allo stesso tempo. E il mondo svanisce, il tempo pure: e noi con loro. Ed è qui che si consuma la malattia: quando non c’è modo di tornare indietro, troppo dentro per riprendersi. E cadiamo al suolo distrutti, ogni volta di più. In attesa di una svolta che non arriva. E non arriverà. Perché l’odio non finisce, e l’amore neanche. E si odiano e si amano i ricordi, si evitano e si cercano. Un tira e molla tra passato e presente, dimenticando il futuro. Ma quale futuro? Nessun futuro: morte certa.

C’è la rottura, c’è la pausa, c’è il distacco. Ma non c’è una fine. Quando un giorno, poi, ci si accorge di essere fuori dal tunnel, respirando aria finalmente fresca e rinfrescante: pulita, come mai. E si ricomincia, in attesa di odiare e amare qualcun altro. E se poi non si è in grado di amare, meglio non farlo. Per tutti.

Perché il mondo è folle, e noi con lui: variabili impazzite che odiano e amano. E a te che leggi va il mio messaggio d’odio e d’amore allo stesso tempo: tu che sei sempre felice, che hai il vento a favore. Tu… che il mondo ti ama, ma non ti accorgi neanche che ti odia. E ti odierà. E quando te ne accorgerai sarai troppo dentro per venirne fuori. Non amare, non odiare: è meglio. Non ti attaccare: vivi e basta. E forse potrai permetterti di sorridere. Forse. Perché l’amore è odio. E l’odio è amore. Due facce bruttissime della stessa sporchissima medaglia "di cartone". 


domenica 3 maggio 2015

Il Ruolo


Noi abbiamo un potere eccezionale. Chiunque, nessuno escluso, ha la possibilità di scegliere da che parte stare, la possibilità di dire la propria, far sentire le urla di disapprovazione, d’incoraggiamento. Tutti possono giocare un ruolo importante in questo gioco, perché di gioco si tratta.

Non esiste Nord, non esiste Sud, né Est o Ovest: esiste il pianeta, il mondo nel quale viviamo e camminiamo. Muoviamo passi quasi fossero martellate, e neanche ce ne accorgiamo: andiamo su e giù, a volte senza un apparente scopo. Eppure il peso delle nostre “scarpate” ha la stessa incisività delle azioni che compiamo: e ce ne pentiamo, anche. Ma perché?

Riprendendo un famoso passo di Walt Whitman, riproposto in molte salse tra le quali l’interpretazione cinematografica di Robin Williams ne “L’Attimo Fuggente”: “Che tu sei qui, che la vita esiste e l’identità. Che il potente spettacolo continui, e che tu puoi contribuire con un verso.” Un verso, nel potente spettacolo. Uno spettacolo corale, nel quale ognuno di noi ricopre un ruolo ben definito, singolare e funzionale all’obiettivo. Se di obiettivo si può parlare. 

Tu, io, egli, siamo tutti protagonisti del “nostro” spettacolo: ognuno con una parte, un copione dalle battute sconosciute, ricco d’improvvisazione e colpi di scena. E’ un teatro, con un pubblico invisibile: “vivo”, partecipe. E ogni azione, ogni mossa fa parte del gioco. Ogni decisione presa esclude l’esito futuro della scenetta. Entrate e uscite di scena, intrecci tra personaggi vari e variegati, colorati e non, tutti indispensabili: perché anche lo sguardo insignificante di un passante ti cambia la giornata, modifica il tuo modo di pensare indirizzandolo in una o l’altra direzione. E’ un gioco di attimi, di geometrie impazzite e parole come blocchi di Tetris che, alla fine, compongono un mosaico quasi fossero tessere: e alla fine del percorso, alla fine di tutto, l’epilogo.

“Nasci da solo, muori da solo”, quante volte l’abbiamo sentito. Nasci in compagnia, invece, come in un film: muori da solo, protagonista dell’ultima scena, nella quale hai esattamente tre secondi per riavvolgere tutto. Sei solo anche quando ti uccidono, sei solo quando scrivi, mangi, sei solo. Nessuno mangia per te, o con la tua bocca: mangi tu. E ti ci abitui, e così anche alla fine, quando sei solo e devi decidere se aspettare o meno. Devi scegliere l’uscita, l’inchino perfetto per raccogliere l’ultimo applauso. Teatrale.



domenica 25 gennaio 2015

Un extraterrestre chiamato Pogba


Un primo tempo giocato non ad altissimi livelli, poi decide di atterrare sul pianeta Terra, in zona Juventus Stadium, e sblocca la partita con due giocate da extraterrestre: Paul Pogba risolve "da solo" la difficile sfida contro un buon Chievo e consente alla Juve di allungare momentaneamente sulla Roma.

UMANO TROPPO UMANO - Quella contro il Chievo non è stata una partita semplice per la Juve: pur non giocando male, la squadra di Allegri non ha creato grossi problemi alla squadra clivense, merito anche di un ottimo atteggiamento degli uomini di Maran. Lo stesso Pogba, nella prima frazione di gioco, è apparso sottotono, alla continua ricerca della posizione in campo, pur lottando su ogni pallone: gli spazi chiusi e lo scarso movimento di Morata e Vidal non lo aiutano, costringendolo a cercare l'azione solitaria che, però, non va quasi mai a buon fine. Un normale giocatore sarebbe lentamente scomparso dal campo col passare dei minuti, annientato psicologicamente e tatticamente dagli avversari, ma lui no: lui non è umano.

DI UN ALTRO PIANETA - Nel secondo tempo la musica non cambia: lui è lì, su ogni pallone, ma non è incisivo. Gioca con una semplicità disarmante, corre come una gazzella seminando facilmente i giocatori del Chievo, eppure non riesce a trovare lo spunto giusto. Fino al 60', quando va in onda il "Pogba-show": il francese si alza dalla sedia e decide, come annoiato, che la Juve deve vincere questa partita. Dribbling stretto e tiro di sinistro immediato, una saetta, quasi impercettibile all'occhio umano, che batte Bizzarri: 1-0, e Pogba c'è, è di nuovo in campo, diventa protagonista. Da quel momento ogni palla passata dai piedi dell'extraterrestre col numero 6 sulle spalle diventa "oro". I giocatori del Chievo non lo toccano quasi più, come coperto da un velo di luce: al 74' è ancora lui che, volando in cielo, suo habitat naturale, arpiona un pallone impossibile in area e lo calcia propiziando, sulla respinta del portiere clivense, il raddoppio di Lichtsteiner.

SE LA VITTORIA AVESSE UN NOME - Se la "vittoria" avesse un nome, insomma, si chiamerebbe Pogba: come già accaduto più volte, il francese sblocca la partita per la Juve consentendole di vincerla. E i punti conquistati oggi, in ottica campionato, sono punti pesantissimi: Juve momentaneamente a +8 dalla Roma, in attesa della sfida del Franchi. Un Pogba che, però, potrebbe far meglio. La domanda sorge spontanea: se un giocatore simile riesce a decidere un incontro pur non giocando al massimo nell'arco dei novanta minuti, cosa potrebbe fare al 100% delle possibilità?