domenica 30 marzo 2014

Il sole delle quattro



Autobus, Paesi Etnei. Biglietto "strappato" e via, verso il fondo. Obiettivo, una finestra. E le cuffie, meglio se soli, musica ad alto volume. Sguardo verso la città: tempio di bellezze tanto brutte quanto magnifiche. Calderone di emozioni contrastanti, tra la gioia e il dolore di chi non sa di poter cambiare le cose. Quanto è brutta l'ignoranza sul volto delle persone, mista ad incertezza e paura del futuro. Della giornata, che tramonta come inizia: e si sa che, in fin dei conti, le giornate durano quanto il sole. Dopo di esso, il buio e nulla più. Poi si dorme, e si ricomincia. Così, è tutto un crescendo, fino al culmine: il tramonto. Basta guardare sul volto, stanco, le persone. Affrante al mattino, affrante all'ora di pranzo, felici al pomeriggio, affrante la sera. Dormono affrante. Vivono affrante. E così, affrante, passano le giornate, per sentirsi vive solo per un istante: guardando il sole tramontare da una finestra, sfidando i raggi arancioni e cercando di guardarne l'intera circonferenza infuocata. Ma è così che deve andare, annoiati per natura, felici per pratica. Ci si esercita, si cerca sempre di farsi trovare pronti: ma pronti, poi, non si è mai. Così capita di incontrare una bella ragazza al bar, o un anziano saggio elegante, dall'aria di chi ne sa, ne sa molto della vita. E' un momento, un istante, nulla più. Uno sguardo pieno di vitalità che si infrange contro la vetrina di un negozio a caso, perdendosi nel nulla. Il sole delle quattro è paragonabile alla luce naturale: vedi tutto com'è veramente, e ti sorprendi di quanta tristezza c'è nel sorriso di una persona felice. Noti la sofferenza, viva. Noti la vita in uno sguardo, senti che per un secondo si puó vincere la maratona di New York, per poi tornare il solito inetto di sempre. Il sole delle quattro ha lo straordinario potere di farci sentire vivi, ma non completamente. Di farci capire quanto e come possiamo cambiare, chi possiamo essere, per un attimo. Vivi al 70%, ma non interamente. Vivi (quasi) per metà: ed è un gran privilegio pensando che, alla fine, solo chi muore puó ambire a sentirsi vivo completamente, per un momento, finale. 




lunedì 24 marzo 2014

Voci di corridoio

Si insomma, le classiche. Quelle della solita "persona che conosco" che si trova "all'interno" e "che sa tutto", tutto ciò che, però, nessuno vuole realmente sapere. Ma si annuisce, e il gusto di farlo è talmente piacevole da paragonarlo al caffè che stai bevendo al bar mentre ti raccontano le solite "storielle" da "diario della propria vita" che, in realtà, riempiono solo tempo. Il giusto, insomma, per passare tranquillamente quelle tre ore di una giornata iniziata male e senza ormai un senso. Come un campionato dalle grandi aspettative ma iniziato male: ci si accontenta della salvezza. Ma quanto fastidio potranno mai recarmi quelle persone che, ad un tratto, sul più bello del tuo racconto, ti interrompono per raccontarti la loro storiella? Ma il mio non vuole mica essere uno sfogo, solo svago. E, dite la verità, quanti di voi, amanti della musica bella e originale, ascoltano canzoni remixate? E magari, poi, le si criticano. Ma cos'è veramente la realtà se non si ha la possibilità di scegliere cosa ascoltare o no? Ma non voglio parlare di pregiudizi, mi perderei in inutili discorsi. Non mi piace il rock, nemmeno il rap, ascolto musica: è meglio. E si ha paura di condividere su facebook una canzone di Avicii per non passare per "non intenditori", ma la si ascolta: tanto meglio il silenzio allora. Ma, ritornando al tema centrale, "le mura parlano", e nei corridoi si parla pure. E cos'è, invece, la TV senza la spazzatura? Immaginate che noia non poter criticare Sanremo! E a noi, abitanti del mondo, piace criticare. Lo facciamo..."per sport", ci diverte ed è sano. Ma possiamo scegliere, ed è questo il bello. Anche se, poi, non scegliamo mai: saperlo ci fa star meglio, per un secondo. E' la giusta altalena di emozioni che ci permette (almeno) di preparare un caffé ed incontrare qualche amico. Ma non siamo contenti, a noi piace (s)parlare, e "i corridoi" diventano "piazze". Le voci, non più di corridoio, si diffondono velocemente: ed è giusto così. Il Catania vuole scendere in Serie B, i servizi segreti ci controllano, i politici "fregano" i soldi: e voi ditemi cosa saremmo senza queste voci! Senza nulla e nessuno a cui dare la colpa! Come sarebbero le nostre giornate senza "le scuse"? Più senso di colpa, meno leggerezza. Più "selfie", meno attenzione per il "self". Più gli altri, meno noi, meno me, meno te, meno ciò che ci piace fare: più ciò che piace fare agli altri. Perché finché le voci vengono raccontate in un corridoio siete voi stessi, anche per gli altri: siete voi e la vostra coscienza, e gli altri rimangono in piazza. Ed è giusto così. 



domenica 16 marzo 2014

La forza di ripartire

Game over. Sarò esplicito (è un blog, mica un giornale): caro presidente (stavolta, ahimé, con la "p" minuscola) che storia racconterà a noi, poveri stupidi (e a volte "ridicoli") tifosi? La storia della squadra più forte di sempre, lo sa, non va più di moda. Ma non la criticherò: anche io, lo ammetto, ho creduto di tifare per il Catania più forte di sempre. Talmente forte da riuscire nell'impresa di distruggere quel che di buono è stato fatto negli ultimi due anni: e, bisogna ammetterlo, si tratta di un'impresa. Racconterà mica delle meravigliose gesta della "risorsa" Cosentino? Monzon, a FIFA, era un signor giocatore. Leto, a PES, anche. Plasil e Biraghi li "acquistavo" in ogni mia squadra da "allenatore virtuale": scelte azzeccate, quindi, caro presidente, nulla da ridire. D'altronde, ci racconterà anche di come il simpatico De Canio ha migliorato la media punti: per un istante, ammetto anche questo, avevo riso alla sua battuta su quel "grande uomo di calcio" quale l'unico allenatore al mondo capace di farsi esonerare da qualsiasi squadra avesse allenato. E anche questa è un'impresa, e nell'anno delle imprese, ci sta. Ci racconterà, forse, di quanto non avessimo bisogno di attaccanti? E chi, caro "primo tifoso" (appunto, tra virgolette), può mai comprare un'altra punta se in campo può schierare un goleador come Bergessio? O magari una goleador, le caramelle, tanto dolci quanto innoque. Ma avevamo anche Petkovic che, purtroppo, è stato esonerato dalla Lazio del suo amico Lotito. Vuole forse dirci che puntavamo davvero su Bruno Petkovic? Perché lei stesso ha detto di essere stato deluso dallo scarso rendimento della punta. Che "Maxi" guaio ritrovarsi a Gennaio senza attaccanti. Immagino già il suo prossimo argomento: "non abbiamo trattato i seguenti giocatori...", chi? Giannetti aveva già firmato, Floccari rischiava di segnarci oggi, Okaka gioca bene alla Samp, Cristiano Ronaldo batte il Malaga a La Rosaleda e Ibra...Ibra non voleva venire, ha ragione. Avevamo Leto, e abbiamo preso Fedato che, però, non piace a Maran. E Maran è l'allenatore. Ma il giocatore non piace: e qui qualcosa non quadra. Come non quadra la sua reazione, carissimo, "il giorno dopo" la sconfitta contro il Milan negli studi di una trasmissione sportiva. Non quadra, non eravamo abituati a vederla così. Ed eravamo abituati (troppo) bene. "Ridicoli e offensivi" sono stati giudicati i giornalisti che davano voti bassi alla squadra dopo una prestazione da Pescara (non me ne vogliano). Il presidente butta giù la maschera: ridicoli e offensivi i giornalisti. Prima, netta, frattura tra la società e "il resto del mondo". Riprendiamo Lodi...a proposito, gioca ancora? Una partita, niente di più. Rinaudo, un fenomeno: e dico sul serio. Intuizione di Cosentino: diventa anch'esso fenomeno. E che storia sui giornalisti ci racconterà ancora? Chiamati a raccolta in sala stampa la scorsa settimana, "catechizzati" per non star vicino alla squadra. Siamo noi ad averla delusa. Noi, ad un tratto, diventiamo i colpevoli di un'annata storta. Noi, chiamati a raccolta per sostenere la sua squadra. Noi che, però, non possiamo parlare, non possiamo discutere dei fatti perché "non facciamo il bene del Catania". Ha ripreso un Maran più tirato che altro. Caro presidente, e mi accingo a concludere, non voglio generalizzare, quindi non punterò il dito contro di lei. Siamo ultimi, caro presidente, "giù la maschera", è finita, come la voglia di lottare. E' stato un bel viaggio, "atteriamo", prendiamo i bagagli e ripartiamo da zero: la Serie B non è poi così male. Progettiamo da capo, e poi si riparte. E si, si riparte, come su un aereo, o "un aeroplanino", come quello che appena due stagioni fa faceva del Catania "il piccolo Barcellona". Ma adesso l'aeroplano perde quota e, così come "altri" aerei di sua conoscenza, lascia a terra i passeggeri che, fino all'ultimo, saranno al Massimino a sostenere e tifare, nonostante il viaggio sia finito. Perché un amore dura per sempre, e NOI per il Catania ci saremo SEMPRE. 



domenica 9 marzo 2014

La Grande Ignoranza

Che bello, però, scoprire di avere un talento. Oppure riscoprirsi "italiani" dopo la conquista dell'Oscar. Un po' come accade a quei tifosi che si riscoprono "ultras" della Nazionale una volta raggiunta la finale dei Mondiali (me compreso, lo ammetto). "Ma che belle persone che siete!" direbbe, insomma, Jep Gambardella. Ma scrivere de "La Grande Bellezza" sarebbe fin troppo facile anche per chi scrive solo di sport attraverso i propri portali (non me ne vogliano, adoro lo sport). Mi limiterò, quindi, a scrivere de "La Grande Ignoranza": noi. Che siamo ignoranti, si sa, ma non a tal punto da criticare un capolavoro. Tralascio le critiche al film, anzi, tralascio proprio il film. Noi, protagonisti "dell'altro" film citato sopra, scriviamo il copione ogni giorno: peggiorandolo. Ad ogni battuta va scritta una risposta. E così, in Crimea stiamo scrivendo uno "spin-off" alla storia principale. Un "remake", per l'esattezza. Putin, lo stupido protagonista dai caratteri "Fantozziani". "Allora, ragioniere, che fa, batti?", no, invade. E l'Ucraina prega. Un'invasione "silenziosa", come la definiscono. In realtà, a mio parere, è fin troppo rumorosa. Il silenzio lo creiamo noi per non ascoltare l'orrore e la paura. Attiviamo uno di quei meccanismi di difesa di cui parlava Freud: neghiamo, spostiamo nell'inconscio un pensiero indesiderabile. "Macché guerra! Si risolve tutto a breve!", mi dicevano qualche giorno fa. "Macché lager! Sono circoli sportivi!", diceva (allora) Hitler. E noi? Ignoriamo. E si perché "essere ignoranti" non vuol significare avere una scarsa capacità intellettiva (oddio, molti creano delle scuse dietro a questo ragionamento). Ignorare è anche peggio di non conoscere. Conosciamo fin troppo bene la fine di questo capitolo, cerchiamo solo di non leggerlo e posiamo il libro. Ma che ci lamentiamo a fare se alla fine mangiamo la pizza ogni sabato sera? Se possiamo permetterci di criticare l'arbitro per non aver concesso il rigore? Ci lamentiamo, e abbiamo ragione: non conosciamo. "La Grande Ignoranza" la attribuisco alla nostra ipocrisia, capace di farci disprezzare il giusto e amare l'ingiusto pur di avere un consenso, per non finire soli, nel mondo. Un mondo solo, che ha paura di finire solo. Un insieme, disunito, separato. "Ipocrita", pur di un sorriso. Invaso, come la Crimea: silenziosamente, dalla paura. E noi i colpevoli, la causa di una guerra che è già iniziata.