lunedì 24 febbraio 2014

Con l'amore di un padre

52. E non sentirli. O, chissà, forse si. Ma, infondo, a che serve l'età, caro Presidente, se c'è la passione? Forse sarò io un po' nostalgico, ma vedo il compleanno come qualcosa di importante, si è vero, ma marginale. "L'età non conta in amore", ed è giusto così. E lei ne è l'esempio. 52 candeline sulla torta, 10 di queste da "primo tifoso", tra i tanti "primi tifosi" che non sanno neanche di cosa "parli" il pallone. E forse è un male sa..essere troppo innamorato dei propri colori. Per uno come lei poi...che sta in tensione dal pre-partita, chissà come deve essere dover sopportare la sconfitta della squadra che tifa, sapendo che di quella squadra lei ne è anche il Presidente! Con la P maiuscola. E si perché tra i tanti lei è uno dei pochi che spiega perfettamente il termine "primo tifoso": dispiacere, gioia sfrenata, pugni alla panchina, liti con i giornalisti, liti con gli altri presidenti dopo un torto arbitrale. Lei non è un semplice "rappresentante" di una società calcistica: lei è la società calcistica. Sarebbe capace di entrare in campo e battere un rigore al posto di Ciccio Lodi, o di aggiungersi ai difensori in area avversaria per battere di testa sul calcio d'angolo all'ultimo minuto della partita. E chissà cosa succede negli spogliatoi quando la sua squadra perde! Lei che ha reso possibile un sogno che nessuno avrebbe mai pensato di fare nemmeno dopo una giornata tranquilla. Sa di quei sogni che si fanno dopo una bella esperienza? Quelli che quando ci si sveglia ci si sente rigenerati. Così, come nelle più belle storie d'amore, succede qualcosa, un punto di rottura, un'esperienza negativa. Così, saltano i nervi. E lo sappiamo Presidente, che quest'anno lei non è tranquillo. Si fidi, abbiamo imparato ad apprezzarlo e a conoscerlo. Non parlerò di calcio giocato in questo pezzo, glielo prometto. Non mi va, non mi sembra il caso. Il pilastro di una Città, Catania, non solo calcisticamente parlando. Umano. Esiste. Il Presidente che tutti sognano lo abbiamo solo noi: agli altri lasciamo gli sceicchi, gli americani e gli indonesiani..se questi ultimi capissero almeno di che forma sia un pallone! Lasci perdere le critiche: tutti sbagliano, noi lo facciamo continuamente. C'è ancora tempo, e lei lo sa. E come noi ci spera e continuerà a crederci fino alla fine, fino all'ultimo istante, per poter saltellare sul campo in impermeabile in pieno Maggio come in occasione delle due salvezze contro il Chievo e la Roma. E noi ci saremo, risponderemo presenti al suo abbraccio, per poter continuare ad esultare, cantare, urlare, e piangere, dispacersi. Insieme, perché come ha detto lei: "Noi, Catania, siamo una cosa sola." Auguri Presidente! 



giovedì 20 febbraio 2014

L'uovo "in camicia"

Ingredienti: 500g di USA, un pizzico di Italia, tanta ironia. Risultato? Restaurant man. No, non "uomo ristorante": uomo, ristorante. Showman. Fenomeno. Il mondo della ristorazione sta a lui come la matematica sta ai numeri: indivisibile, inseparabile, dipendente. Quindi, mettetevi comodi, TV accesa, popcorn alla mano: stasera il festival è Masterchef. Stasera Sanremo è Joe. Giacca e cravatta: un americano sempre in vacanza, in giro a "giudicare" gli chef. Guai a chi lo definisce tale! Da Fazio, qualche tempo fa, ci teneva a precisare: lui non è uno chef. Insomma: troppo simpatico per farlo (accanto a quei musoni quali Barbieri e Cracco poi..). Un genio, in sregolatezza. Joe Bastianich è ciò che dal mondo della ristorazione non ci si aspetta. La cucina sta cambiando: le macchie di "sugo" di pomodoro degli spaghetti lasciano spazio alla raffinatezza dei piatti. Lo stile, minimalista. Il sapore, pure. Il costo? Alle stelle: lo so, è un luogo comune. "Siamo ciò che mangiamo", diceva Feuerbach. Tu, Joe, cosa mangi? E Rachida? Provate a guardare una puntata di Masterchef senza ridere alle sue battute: impossibile. Provate a ridere alle battute di Carlo Cracco: anch'esso impossibile. Togliere il nostro caro Restaurant man dallo show sarebbe come togliere i colori ad un dipinto di Monet: tanta "dilusione". Ci tiene (tanto) alla cucina, e si vede. Figlio di Lidia Bastianich, chef di calibro internazionale, ha più volte raccontato di essere cresciuto nei ristoranti: è il suo habitat naturale. A "Che tempo che fa" (vi consiglio vivamente di guardare l'intervista) ha spiegato che una delle norme fondamentali del ristoratore è il rapporto con il cliente. Ora, immaginate di trovarvi "per caso" a pranzare in un suo ristorante: impallidisco all'idea quanto Enrica guardando "lo scrigno" distrutto da Rachida. Di' la verità, Joe, tu sei buono (in fondo). Hai detto che lo stato della biancheria è una cosa essenziale in un ristorante: e di quella dei concorrenti che mi dici? Appena ti avvicini a controllare i piatti si sgretolano, crollano. Ribadisco: tu sei buono, si vede. Appassionato di musica (per chi non lo sapesse, fa parte di un gruppo: i The Ramps). Insomma, ti mancano solo i capelli (ma quelli, si sa, non sono importanti). Un uovo "in camicia" e Air Max fluo, nota piacevole di uno spartito amaro, condito dalla crisi, risollevato dalle tue battute.  



mercoledì 19 febbraio 2014

Il "vincolo" di un #hashtag

Un mondo di cancelli, nessuna libertà. Cancello, chiuso. Lo "cancello"? Scrivo, anzi, digito. Invio, non funziona, si blocca: insulti (vari), è la macchina o sono io che non vado? Viviamo in un mondo chiuso da un cancello, un hashtag, parliamo "twittando" il giusto in 140 caratteri, niente di più: il lettore si annoia. Io mi annoio, non va bene: cancello ancora. Deve colpire, attirare l'attenzione, riscuotere consensi positivi: è il mio spettacolo, in quel teatro quale il mio profilo. La locandina "condita" dall'immagine di copertina, lo stato: a cosa serve? A nessuno interessa se sei felice: l'aforisma diventa la chiave del successo. Filosofi snaturati, grandi uomini si rivoltano sotto i nostri piedi. Amicizie. Amicizie? Seguaci. Ah ecco, ci intendiamo. "Dietro uno schermo", che luogo comune! Eppure io stesso sto scrivendo, adesso, dietro ad uno schermo, chiuso nel mio "mondo", siggillato da un "hashtag". Ah, a proposito, bello il monumento che hai visitato ma..sai almeno la storia? Instagrammiamo tutto, fotografiamo: e forse questo è un bene. La politica "fatta" dal popolo: non siamo contenti? Le critiche ad un programma TV: normale. Gli insulti ai tifosi avversari: ci sono sempre stati. La tendenza, noi. Non ci si stupisce, non fa più tendenza: è normale. Normalità, nell'anomalia. Ci lamentiamo troppo di vivere in un mondo "poco sociale" che non ci rendiamo conto che, invece, è più "social" di quanto pensiamo: il pranzo è social, lo sport? E' social! I sentimenti sono social...mente incomprensibili. Come ciò che si scrive chiuso da un hashtag, come noi, chiusi da un "hashtag" del quale abbiamo le chiavi ma dal quale non vogliamo uscire. E, forse, è un bene.