martedì 31 dicembre 2013

#2014

Botti "scaccia maligni", lenticchie portafortuna, il classico "trenino". Messaggi di auguri, post su facebook e hashtag su twitter: è tutto pronto. Eppure per così poco, per un giorno. E' capodanno e quasi nessuno lo sente, distrutto dalla crisi, da una società che ha quasi smesso di crederci. Quasi fossero "da protocollo" il cenone, il conto alla rovescia, gli auguri (ipocriti) di felice anno nuovo. Come fosse possibile cambiare le sorti di un intero anno nelle poche ore restanti, come fosse possibile segnare il corso di dodici mesi dai primi istanti "divorando" lenticchie o sparando fuochi d'artificio. Fosse tutto così semplice! Il sorriso dura in media mezzora, poi subentra (in genere) il sonno. E durante il giorno di capodanno si passa più tempo a fare "zapping" con il telecomando che a pianificare l'anno nuovo. I soliti discorsi, il solito "discorso agli italiani". Quello rassicurante e riguardante un anno difficile ma sempre "in miglioramento". Non bisogna perdere la calma, noi italiani l'abbiamo capito bene: così il discorso che passa in TV non lo guarda più nessuno. "Bisogna guardare avanti!", dicono. Avanti, per ora, non c'è nulla. Domani sarà uguale ad oggi: cambia un numero, un giorno. Se qualcosa si è persa per strada, nessuno la riavrà mai indietro perché "è cambiato l'anno". Rimane solo la speranza, mista a molta, troppa, superstizione. Il pensiero va allora a Nelson Mandela, alle vittime dei naufragi, va alla politica che c'era e che non c'è più. Va a tutti coloro che non hanno la "fortuna" di festeggiare il capodanno. Noi, invece, siamo fortunati: abbiamo la grandissima opportunità di sperare ancora per 365 giorni che qualcosa cambi in meglio per ritrovarci tra un anno al punto di partenza. Ma niente cambia, tutto rimane uguale, e se cambia peggiora. Nessuno ferma una vettura che procede ad alta velocità, senza conducente e con i freni rotti. Per di' più se in discesa e dritta verso un imminente schianto. Forse è davvero questo il senso dei botti e delle lenticchie: festeggiare la possibilità di poter vivere ancora per sperare in un cambiamento, in qualcosa di impossibile. Sperare che il mondo cambi verso, sperare in un anno "migliore". E se ci pensate bene, è davvero una fortuna avere la possibilità di sperare in tutto ciò.

venerdì 27 dicembre 2013

Caro amico ti scrivo...

Sosta "natalizia" per la Serie A: calciatori e allenatori in vacanza, dirigenti al lavoro in vista del mercato. Il 2013 volge al termine. Alle sue spalle gol, occasioni, rammarico, tanto. Speranze, successi, sogni. Il tifo, quello vero, "gira" l'anno, non resta indietro. E così sono i numeri a "parlare", i classici "bilanci di fine anno". Un anno, quello del Calcio Catania, da "Bella" e "Bestia" allo stesso tempo. Dal record di punti in una stagione al record, negativo, di sconfitte. Tutto in dodici mesi. "Caro amico ti scrivo, così mi distraggo un po'.." direbbe un "Dalliano" presidente Pulvirenti, forse fin troppo pensieroro ultimamente. Lui che ha visto rovinosamente crollare l'immagine del suo "giocattolo perfetto", tanto perfetto da essere considerato il modello stesso di "società perfetta". Ma si sa, quando la posta in gioco diventa più alta è difficile per tutti ripetersi. Pensieroso anche il mister, Gigi De Canio, che ha chiesto al nuovo anno dei rinforzi per la sua rosa. Già al lavoro, invece, Pablo Cosentino alla ricerca dei "regali" al mister e ai tifosi. In vacanza i giocatori, ognuno dalle proprie famiglie (sempre che non sia arrivato un altro giocatore a "portartela via"..), a riposare (chi più, chi meno) dalle fatiche di un inizio di stagione "turbolento". Uno sguardo al 2014 passando per il calciomercato, quindi. Passaggio, "forzato", per una salvezza insperata. E si perché, se il 2013 iniziava tra i sorrisi e le certezze dei 25 punti in classifica, il nuovo anno avrà come colonna sonora la famosa sigla di "Mission Impossible". Il presidente Pulvirenti, negli inediti panni di Tom Cruise, proverà quindi a salvare la causa del suo, nostro, Catania con il supporto, incessante, di chi ci crede. Chi, forse più dei giocatori, dona l'anima per raggiungere una vittoria, quasi volesse scendere in campo a segnare. Il tifoso: lui che è mister, presidente, dirigente, uomo-mercato, opinionista e attaccante allo stesso tempo. Lui che non perde mai la speranza, neanche a 10 punti, ultimo in classifica. "Toglietemi tutto ma non il mio...Catania!", insomma. Così, mentre i tifosi "eleggono" il Papu Gomez "rossazzurro dell'anno", altri rimpiangono chi è migrato verso altri lidi: Giovanni Marchese e Ciccio Lodi, tra questi. I nostalgici invece richiamano a gran voce mister Maran, alcuni, rassegnati, guardano al nuovo anno come ad un nuovo ciclo che riparte da zero, lasciando acceso quel lumicino di speranza che chi ama il calcio, anche sotto di tre gol a due minuti dalla fine, tiene vivo aspettando nella rimonta finale. Quella speranza che un tifoso non getta mai via, neanche vedendo la sua squadra passare da "piccolo Barcellona" a "squadra che non riesce a vincere", ultima, a 10 punti, perché sa che al Catania niente è impossibile. E' la storia che lo insegna. E' la storia di chi è risorto dalle ceneri, "abbattuto" più volte, ma che adesso è qui a giocarsela perché "NOI siamo il Calcio Catania". Adesso, forse, anche più forti di prima.


lunedì 16 dicembre 2013

C'era una volta il calcio italiano...Cronache di una lega falcidiata da scandali e sconfitte

"C'era una volta"...la Federazione Italiana de Football. Era il 16 Marzo del 1898. Era la prima "lega" italiana del gioco del pallone. Sempre undici giocatori, sempre i goal. Sempre il pubblico, i campi, l'area di rigore, il calcio d'inizio, l'arbitro. Venne organizzato il primo "campionato" vinto a Torino dal Genoa Cricket and Football Club. Tutto in una sola giornata, tutto l'8 Maggio 1898. L'Italia c'era, giocava a "football". Erano gli anni della svolta, del secolo delle speranze, del progresso, dell'ottimismo: si viveva bene e c'era spazio anche per lo sport. E poi la guerra, la prima. Poi la seconda ma prima il campionato mondiale di calcio: la Coppa Rimet. Vittoria, quella della Coppa del Mondo, alla seconda edizione: come al solito, tra le polemiche. Era il 1934, si giocava in Italia, Paese ospitante. Primo campionato mondiale con girone di qualificazione. L'Italia vinse il primo mondiale della sua storia, tra le prime polemiche arbitrali della sua storia. Erano gli anni del fascismo, del Benito Mussolini nelle vesti di un inedito Luciano Moggi. L'Italia vinse ancora, stavolta in Francia, nel 1938, battendo l'Ungheria. Prima Nazione a vincere consecutivamente due Coppe Rimet, la prima a vincerla in Terra straniera. Così la guerra, gli scandali, le stragi, i disastri, l'orrore. Il calcio va avanti, i calciatori "servono più sui prati che all'esercito", diceva qualcuno. E mentre gli Americani si preparavano in gran segreto all'operazione Husky, il Grande Torino vinceva il primo dei suoi cinque scudetti consecutivi. Ma la guerra insiste, e il calcio si deve fermare. L'Italia è sulle ginocchia, a terra, povera tra le macerie. Dopo la guerra, torna il calcio. L'Italia si rialza, il Grande Torino torna a vincere. Era quel Torino di Valentino Mazzola, padre di Sandro. Era quella squadra che, dall'edizione 1945-1946 all'edizione 1948-1949, vinse quattro scudetti. Quella squadra che, nello stesso 1949, morì nella strage di Superga nel viaggio di ritorno dall'amichevole in Portogallo contro il Benfica. L'Italia dello sport è a pezzi, il Torino vinse, doverosamente, quello scudetto a tavolino, la Nazionale di calcio partecipò ugualmente alla Coppa Rimet del 1950 in Brasile.
 L'Italia vince anche in europa: lo juventino Omar Sivori porta, per la prima volta, il Pallone d'oro in Italia nel 1961. Gli anni 60', infatti, segnarono il dominio europeo delle italiane: il Milan di Cesare Maldini e José Altafini fu la prima italiana ad alzare la Coppa Campioni battendo 2-1 al vecchio Wembley i campioni in carica del Benfica il 22 Maggio 1963, piccola rivincita dell'Italia contro il destino. A suggelare il dominio italiano in Europa ci pensò l'Inter che vinse l'edizione successiva contro il Real Madrid per 3-1. Ancora contro il Benfica, ancora dell'Inter l'edizione 1964-1965: era la "Grande Inter" di Angelo Moratti e del "Mago" Helenio Herrera. Milano divenne, così, Capitale del calcio europeo e mondiale. L'Italia era sulla vetta del mondo del calcio. Così, dopo la sconfitta in finale dell'Inter contro gli scozzesi del Celtic nel 1967, la Nazionale italiana di calcio vinse nella ripetizione della finale (all'andata finì 1-1 e non erano stati inventati i calci di rigore) il suo primo Campionato Europeo di calcio, in casa, ai danni della Jugoslavia nel 1968. L'Italia era di un altro pianeta, quasi volesse andare sulla luna con gli americani. Di quella squadra protagonista indiscusso fu Gianni Rivera, primo Pallone d'oro italiano nel 1969 dopo aver portato il Milan alla vittoria della Coppa Campioni battendo l'Ajax per 4-1 nello stesso anno. Il 1970 offre all'Italia una chiara visuale sullo stesso decennio calcistico: la Nazionale perde l'edizione messicana del mondiale per mano del Brasile di Pelé. L'Ajax del fenomeno Johan Cruijff sconfigge nel 72 e nel 73 rispettivamente Inter e Juve grazie al suo "calcio totale". L'Italia del calcio è in ginocchio, non riesce più a vincere.


Ci pensò il "Trap": la Juve di Bettega, Zoff e Tardelli vinse la Coppa UEFA nel 77. Erano gli anni del cambiamento, delle nuove tendenze, delle rivoluzioni calcistiche: si passò da un calcio "fisico" ad un calcio "tattico" dove la figura del "mister" incideva davvero sul gioco, imprimendo alla squadra la propria mentalità. Erano gli anni del pop rock e della disco music, e l'Italia ballava. E si destreggiava pure bene. L'Italia raggiunse per la terza volta la vetta del mondo nel 1982: Spagna, Pablito Rossi, incubo brasiliano. In Brasile ancora lo ricordano bene, ci scherzano su (come dimostra questo spot VISA). Paolo Rossi, che vinse quell'anno il Pallone d'Oro, era solo uno degli interpreti di quella squadra che quell'11 Luglio battè la Germania dell'Ovest per 3-1. 
                                                                                    (Il gol di Tardelli del 2-0)

Il calcio italiano diventa quindi il più importante d'Europa, meta preferita dei più grandi calciatori del mondo. La Juve aveva in squadra uno di essi. Francese, fenomeno puro: Michel Platini, arrivato nell'82' a Torino e vincitore di tre Pallone d'oro consecutivi. Al Napoli, invece, nel 1984 arrivò dal Barcellona un giocatore. Basti pensare un trasferimento del genere al tempo d'oggi per realizzare quanto il calcio italiano fosse importante. Quel ragazzo dai capelli ricci si chiamava Diego, per gli amici El Diego, El Pibe de Oro, La mano de Dios. Per molti il calciatore più forte di tutti i tempi. Poi il 1985, altra tragedia. L'Italia è ancora in ginocchio. Stade du Heysel, finale di Coppa Campioni, Liverpool-Juventus. La partita finì 0-1, la Juve vinse, l'Italia pianse. Gli hooligans inglesi (proprio loro), memori della finale dell'anno prima contro la Roma (e degli scontri della stessa), tentatorono una vera e propria invasione contro la curva dei tifosi italiani. La polizia belga, incapace di gestire la situazione, spinse "caricando" i tifosi verso il settore dei tifosi dei Reds: la struttura non sopportò il peso, morirono 39 persone. La partita, tra le polemiche che si susseguono fino al giorno d'oggi, continuò: fu la prima "macchia" del nostro calcio. Fu l'occasione, per l'Italia del calcio, di "resettare" il sistema. Nel 1986, il "già proprietario di tutto" Silvio Berlusconi diventa presidente del Milan: l'Italia del calcio rinasce, ancora una volta. E' il Milan degli olandesi, dei fenomeni Gullit (Pallone d'Oro nel 1987), Rijkaard e Van Basten (Pallone d'Oro nel 1988, nel 1989 e nel 1992). Il Milan dello stratega Arrigo Sacchi. Quel Milan che "stracciò" in semifinale il Real Madrid (5-0) e vinse la Coppa contro lo Steaua Bucarest (4-0 al Camp Nou in finale) nell'89. Il 1990 vide ancora l'Europa "inchinarsi" ai rossoneri definiti dalla rivista inglese World Soccer la "migliore squadra di club di sempre". Per tre edizioni consecutive (88-89, 89-90, 90-91), la Coppa UEFA venne vinta da una squadra italiana (Napoli, Juve e Inter).  Il "calcio" stesso era ormai "italiano". 
Stesso decennio, stessa storia. Furono ancora tre italiane (Juve, Inter e Parma) a portare "a casa" la Coppa UEFA dal 93 al 95. Il Milan di Capello, invece, dopo aver perso nel 1993 la Champion's League contro il Marsiglia, vinse la stessa coppa nel 1994 battendo il Barcellona in finale. Poi, la caduta. Mondiali di calcio 1994, USA. Ancora Italia contro Brasile. Ancora una volta. La finale che tutti ricordano per il rigore sbagliato dal "Divin codino" Roberto Baggio (Pallone d'oro l'anno prima) dimostrò al mondo che l'Italia del calcio, nonostante tutto, c'era. Ed era fortissima. La Juventus vinse l'edizione del 96 della Champion's League: l'Italia era diventata capitale del calcio mondiale. I campioni sceglievano il calcio italiano, in Europa temevano il nostro calcio. Da Weah a Zidane, passando per "il fenomeno" Ronaldo. Poi, il vuoto: due mondiali non all'altezza, un europeo perso in finale contro i "cugini" francesi. Fino al 2003: in finale a contendersi la Champion's c'erano due italiane. Ancora loro, ancora la Juventus e il Milan. All'Old Trafford vinsero i rossoneri, ai rigori, grazie all'ucraino Andrij Ševčenko. L'Italia era ancora l'epicentro del calcio mondiale...o forse no. Eccola, l'ennesima macchia del nostro calcio: Calciopoli. Indegna pagina di uno "sport" corrotto. L'Italia crolla, i campioni fanno le valigie. La Juventus viene retrocessa in Serie B, lo scudetto viene assegnato all'Inter. L'Italia diventa la barzelletta d'Europa. L'Italia, data per morta, risorge, ancora una volta. Vince il Mondiale in Germania nel 2006, tra le tante voci, tra i vari rappresentanti FIFA diffidenti sulla nostra partecipazione. L'Italia aveva risposto a tutte le critiche, in silenzio, con i fatti. L'Italia era di nuovo sul tetto del mondo. Il Milan vinceva la Champion's nel 2007 in quel di Atene contro il Liverpool,  grazie all'immenso Kakà. Ma nella società nella quale anche i successi sportivi sono dovuti alle spese, i campioni vanno via, acquistati dalle superpotenze del calcio. L'Italia rimane orfana di protagonisti, in Europa si stecca quasi sempre. Poi la sorpresa: un portoghese, José Mourinho porta l'Inter alla vittoria di uno storico Triplete: Scudetto, Coppa Italia e Champion's League nella stagione 2009/2010, nessuno in Italia c'era riuscito. Troppo poco. Troppo "inutile". Squillo troppo debole per risvegliare qualcosa: la crisi economica incide, e anche tanto. Oggi, ai sorteggi per gli ottavi di finale della Champion's League si tifava per una sola squadra italiana. Troppo poco per una Nazione che "vive" di calcio. Quel calcio che, però, senza risorse economiche, non è competitivo. Quel calcio che ci vedeva protagonisti e che adesso ci vede come "partecipanti". Quel calcio fatto ormai di "idoli" e pochi "leader", troppe capigliature, scarpe colorate, giochetti da spiaggia e pochi successi. Quel calcio che una volta era un gioco e che adesso è diventato "investimento sul mercato". Quel calcio dove a giocare non sono più i giocatori ma i soldi, come fossero più bravi a calciare un pallone in rete di una persona che ama questo sport. L'Italia è in caduta libera, in economia così come nel calcio, in attesa dell'ennesima "rimonta all'italiana". 
 

domenica 15 dicembre 2013

Caccia all'uomo

 <<Mi sono trovato in un mezzo pasticcio nella mia città
Così mi hanno messo in mano un fucile
Mi hanno spedito in terra straniera
Per andare a uccidere il muso giallo>> 
  
<<Got in a little hometown jam
So they put a rifle in my hand
Sent me off to a foreign land
To go and kill the yellow man>>
                                            (Bruce Springsteen-Born in the USA)
 
 
USA, il sogno di tutti, ciambelle sempre calde, successo. Frank Sinatra, Brodway, Central Park, NBA, Bill Gates, Las Vegas 11 Settembre, Hollywood. Già, Hollywood e i suoi film dalle armi galattiche. Le contraddittorie e inutili guerre. Sangue e pallottole a colazione. Dati sconcertanti, stagione di caccia infinita: gli Stati Uniti non sono mai stati così interiormente separati. Colorado, 13 Dicembre 2013, ventiquattresima sparatoria in una scuola in dodici mesi, due per ognuno di questi. Dov'è finita la civiltà?  Il giorno dopo la strage fa ancora più male: è l'anniversario della strage di Newtown, triste destino. L'attentatore, uno studente dell'Arapahoe High School, legalmente armato. L'obiettivo, una professoressa. I feriti, due suoi compagni, fortunatamente ancora in vita. Poi, la tragedia: il ragazzo si toglie la vita. Scuola evacuata, in azione i famosi SWAT dei telefilm e dei videogiochi: non era finzione, stavolta. E si perché nel Paese dei videogames "sparatutto", dei thriller e dei miracolosi "salvataggi" del mondo dal solito disastro apocalittico, quando si fanno i conti con la realtà nessuno può nulla. Inermi, a piangere. A discutere. A non risolvere nulla. "L'auto-difesa" delle armi domestiche è l'alibi, le vittime crescono sempre di più, senza fine, senza tregua, come durante una battuta di caccia. Tradizioni, queste, molto antiche (e guai a cambiar qualcosa!) di un Paese che proclama la libertà degli schiavi delle armi. "Giustizia privata", quasi da Far West, da Saloon, da incivili. Per passatempo, per divertimento, per l'oro. L'oro? La gloria, il successo, quello insomma. La soddisfazione di guardare il proprio viso in TV. Armi possedute come fossero telefoni cellulari: almeno una per famiglia. Giocattoli "pericolosi" nel Paese dei fuorilegge dove possedere un arma per uccidere non stupisce quasi più, come fosse "legale", come fosse giusto, invece, rivolgere le proprie attenzioni su inutili guerre per il petrolio ignorando la pace della propria terra. Come fosse svantaggioso pensare a sé stessi, per una volta, invece di recitare per l'ennesima volta il ruolo di "eroe" agli occhi del mondo.



giovedì 12 dicembre 2013

La protesta violenta non è una protesta: questa è la giungla "Italia"

L'Italia cambia verso, forse. Si spera, almeno. Che verso? Si chiama Matteo Renzi, è fiorentino, Firenze, terra di Dante. Cambierà mica il verso poetico? Perché il "post primarie del Partito Democratico" sembra uguale al "prima": triste. L'Italia non cambia verso, l'Italia rimane triste. Forse anche di più. In piazza è tutto bloccato, "occupato" come le scuole, come le sale d'attesa degli ospedali e dei centri collocamento. Sembrano tutti "aspettare Godot": non arriva mai, ma sono tutti lì, fermi. Non si muove nulla. L'Italia oggi sembra più una fotografia in bianco e nero. Sullo sfondo di essa tanta gente in piazza, i "forconi" (o più amichevolmente definiti da alcuni "forchette"), fautori della rivoluzione. La protesta coinvolge tutti: pensionati stanchi delle solite trasmissioni noiose in TV, studenti affetti da "mal di studio" e ultras. Ultras? Si, proprio loro. Milan-Ajax, ultima partita del girone: fuori dallo stadio di San Siro scoppiano risse. "I soliti tifosi!", direbbe qualcuno. E così, mentre la Juventus usciva dalla Champion's League per mano del Galatasaray, gli ultras dei forconi facevano barbarie "turche" dei tifosi olandesi accoltellandone tre. "This is no football!", questo non è calcio (direbbe qualcun altro..). Protestare con violenza non è protestare, è, piuttosto, comportarsi da bestie. Che senso ha essere distinti dagli animali per la nostra razionalità? Una rivoluzione col sangue non ha senso. "Benvenuti in Italia, la Nazione delle contraddizioni!", dove gli studenti si battono e manifestano per il diritto allo studio pur di non assistere alle lezioni. Dove questi occupano scuole contro la spending review e contro il MUOS. Il MUOS? Che c'entra con la scuola? "Ma si, non si va a scuola, protestiamo!" Non si superano i test universitari? "Non c'è diritto allo studio!" Non pagano gli stipendi al personale delle scuole? Si protesta in loro supporto! L'Italia non cambia verso. E' la nostra storia, quella del popolo "scansafatiche", della bella vita e degli inciuci. Che possiamo farci noi, generazione del domani? Noi, quei fortunati che non dimenticheranno mai lo "storico" gesto della polizia che, di fronte alla protesta dei forconi, ha tolto il casco. Noi, quei "fortunati". L'Italia è bloccata, la polizia si toglie il casco, i forconi hanno "vinto". Si, forse. Hanno vinto? "Quanto?" Non scherziamo: in Italia non si vince, si perde. La nostra penisola è in caduta libera dalla fine dell'Impero Romano, ammettiamolo. La protesta violenta NON PUO' essere definita una protesta: è la giungla, piuttosto. E in questa vige la legge del più forte. E mentre un certo "leader" nostalgico minaccia l'ennesima "rivoluzione" in suo favore in caso di condanna, l'Italia diventa apatica, quasi "anarchica". Non c'è un ordine, solo confusione. Come in quelle stazioni o quegli aeroporti dove la gente, veramente stanca, non protesta con la violenza ma con un biglietto di sola andata e un sorriso, verso quell'ordine che stavano cercando.


mercoledì 4 dicembre 2013

Road to Brazil 2014: "i padroni di casa"

Terza tappa del nostro viaggio, tocca doverosamente alla Nazione ospitante: il Brasile
Dici "calciatore" e ti viene in mente Pelé o Ronaldo, dici "calcio" e ti viene in mente il Brasile. Perché lo sport più amato e seguito al mondo (in epoca moderna, come lo conosciamo noi) sarà pur nato in Inghilterra ma è in Sud America che trova il suo epicentro. Un mondiale, per loro, vale la vita, a maggior ragione se giocato in casa. Ed ecco che, a sessantatré anni di distanza dalla disastrosa sconfitta in finale contro l'Uruguay in quel 16 Luglio 1950 (e con cinque titoli in più) la nazionale "verdeoro"è pronta a prendersi la rivincita e sfatare il tabù Maracanã. Così, dopo la vittoria nell'ultima edizione della Confederations Cup, la solita "prova generale" della rassegna intercontinentale, l'intera Nazione della Samba, del Carnevale di Rio, dei sorrisi e della felicità, messe da parte le polemiche della vigilia e potendo contare sul supporto di tutta la popolazione (non sei brasiliano se non ami il calcio), si appresta ad acciuffare il suo sesto "mundial de futebol" della sua storia, salvo sorprese "europee" (magari azzurre, aggiungerei).

UNA MAGLIA, UNA BANDIERA: 
Eccola, allora, la divisa Nike della Seleção, presentata ufficialmente durante il "Festival dos Esportes" dove erano presenti Luiz Gustavo (Wolfsburg) e Felipe Scolari (attuale CT della nazionale verdeoro) e il Creative Director di Nike Football, Martin Lotti, che definisce il kit del Brasile "come la bandiera nazionale, esso rappresenta il paese e il suo popolo". E la storia del "tutto chiaro, tutto scuro"? Per loro non vale? Evidentemente i padroni di casa hanno sempre diritto a qualche privilegio.. 







Semplice, snella, "classica". Uno dettaglio rilevante è il colletto: verde e con i lembi uno sull'altro, quasi somigliante ad una Y. Dentro, visibile, la figura del "Canarinho", disegnata da Bruno Big in un triangolo verde. Un kit pensato soprattutto per la massima comodità dei giocatori: il tessuto, infatti, è più leggero di quello della divisa della Confederations Cup del 16% con traspirazione dai fori laterali. Importanti ritocchi, infine, allo stemma della federazione (CBF): di dimensioni aumentate e con le cinque stelle sopra il logo campeggia sulla divisa ricordando che, come scritto nel retro della "toppa", chi gioca, è "Nascido para jogar futebol" che riecheggia come un urlo intimidatorio, quasi a voler dire "attenti, Neymar e compagni stanno arrivando". E noi li stiamo aspettando.

CHE FINE HA FATTO IL SUPER SANTOS?
Molto più simile ad un pallone "di fortuna", acquistato all'ultimo minuto per giocarci in spiaggia, a tre giorni dai sorteggi, ecco Brazuca, il pallone Adidas che sarà utilizzato durante le partite del Mondiale di calcio FIFA. Dallo stile indecifrabile (nonostante studi approfonditi), rappresenta i colori del Carnevale di Rio (verde, rosso e blu) e lo stile dei braccialetti portafortuna brasiliani (chi non ne ha mai avuto uno?). 




Testato da oltre 600 calciatori e 30 squadre attraverso 10 nazioni e 3 continenti, l'erede dei vari Jabulani, Teamgeist, Fevernova e gli altri "amici", suscita già parecchie critiche per via della troppa "leggerezza": assisteremo, quindi, all'ennesima rassegna piena di errori del portiere a causa delle traiettorie indescrivibili tracciate da queste "palle pazze"? Una cosa è certa: chi gioca con queste sfere, gioca con il popolo brasiliano: "brazuca" è un termine usato all'estero come definizione di "brasiliano", come se i giocatori verdeoro stessero realmente trascinando "palla al piede" un'intera nazione alla vittoria.





Fonti:
http://www.passionemaglie.it/ 

domenica 1 dicembre 2013

"Si può morire d'amore?"

Si può morire d'amore? Non l'amore dei cuoricini, quello di Cupido e dei baci sulla panchina del parco. Si può davvero morire per la propria passione? Non per il troppo amore, ma a causa di esso? Giulietta morì per l'impossibile relazione con Romeo. Racconti, storie.. protagonisti di una trama, non della realtà. E si perché, per una volta, è doveroso parlare di loro, di chi non è citato nei libri. Di chi non spunta sulla copertina dei libri di storia, ma che, per la propria passione, "da la vita". L'ultimo ad andarsene è stato Doriano Romboni, ex pilota Superbike, deceduto durante il "Sic Day" lo scorso 30 Novembre 2013. Doriano aveva 44 anni ed era lì, in sella alla sua moto, per ricordare chi, nel 2011, ha offerto la vita per la sua passione: Marco Simoncelli. Tristezza, freddo, Sic Day annullato, giustamente. Cronache di uno sport incompreso da molti, quello delle corse. Una settimana prima il povero Matteo Roghi, 14 anni. Un gol all'ultimo minuto la causa del decesso, il pareggio della sua squadra all'ultimo istante. Poi il gelo: cade sul suolo, immobile. Un malore, medici in campo. Scalpore. Non c'è nulla da fare, Matteo è già morto. Il mondo del calcio immobile, si fa per dire. Si continua a giocare in Serie A, non si ferma nulla: "The show must go on", insomma. Storie accomunate dalla fatalità, dall'amore. Quell'amore immenso nei confronti della propria "madre". Che cos'è, in fondo, una passione, se non una sorta di "mamma"? Quella mamma che ti plasma, ti insegna a vivere. Che ti offre tutto, ti vizia, e che a volte ti toglie quel tutto. Che pur di non deluderla si portano al limite le proprie forze, si va oltre...fino a qui. Doriano e Matteo sono gli ultimi. Che ti chiami "Sic", "Moro", Antonio Puerta non importa, da quando lo sport è diventato un "gioco a premi", non si guarda più in faccia nessuno. Troppo business, molta importanza allo spettacolo. Diritti TV, canali satellitari, offerte, scarpette sempre più colorate, vetture aerodinamiche e veloci, magliette attillate, sostanze dopanti, soldi. Sponsor, troppi sponsor. Da quando non si gioca "a pallone" ma "a calcio", da quando "si corre" e non "si gira" in moto, lo sport non è più "sport". Insulti, razzismo, violenza. Tanta violenza. Non ci si diverte quasi più: l'obiettivo è vincere per essere ricompensati. Manager che "buttano nella mischia" i propri assistiti credendo siano pupazzi, indifferenti all'umanità. Questo è il nuovo mondo dello sport, molto più simile ad una scacchiera con le pedine che si muovono. Uno spettacolo la cui trama è decisa, il più delle volte, a tavolino. Romboni, Roghi, Sic, Moro, Puerta sono alcuni degli "eroi" del vero sport, baluardo di chi, ancora, crede nella propria passione.